• Dall’Italia al mondo: come vendere all’estero

    Quando ho iniziato il mio percorso nell’e-commerce, il mio primo pensiero è stato: “Conquistiamo il mercato italiano, poi vedremo il resto.”
    Ma la realtà è che, nel digitale, il confine è spesso una nostra costruzione mentale più che un limite reale. I clienti sono ovunque — se sai dove e come cercarli.

    Oggi vendo stabilmente anche all’estero, e voglio condividere le strategie e gli strumenti che ho usato per internazionalizzare il mio e-commerce senza complicarmi la vita (e senza aprire filiali fisiche).

    1. Partire dai marketplace internazionali
    Amazon, Etsy, eBay: questi canali sono stati il mio primo “ponte” verso l’estero.
    Permettono di testare la risposta dei clienti in nuovi mercati con costi contenuti e logistica semplificata. In particolare, con Amazon FBA ho potuto vendere in Europa gestendo tutto da qui.

    2. Creare un sito multilingua (ma non solo in inglese)
    Il mio e-commerce è stato tradotto in inglese, ma ho notato un forte aumento delle conversioni quando ho localizzato anche in tedesco e francese.
    La traduzione non è solo linguistica, ma anche culturale: valute, metodi di pagamento, immagini, messaggi. Tutto deve far sentire il cliente “a casa”.

    3. Investire in advertising geolocalizzato
    Con Meta Ads e Google Ads ho potuto testare micro-budget in nuovi paesi, analizzare i risultati e aumentare progressivamente solo dove il ROAS era interessante.
    Piccoli test → analisi → scaling. Questo approccio ha evitato sprechi e mi ha dato dati reali da cui partire.

    4. Logistica e spedizioni: snodo cruciale
    Spedire all’estero sembrava complicato. In realtà, ci sono ottimi partner italiani che ti aiutano a gestire la logistica cross-border, con tracciamento, resi semplificati e accordi vantaggiosi sui costi.
    Un consiglio? Inizia con l’Unione Europea, dove la burocrazia è più semplice e i tempi sono competitivi.

    5. Customer care in lingua: anche basico, ma presente
    Il supporto clienti è un elemento chiave per costruire fiducia. Non servono team madrelingua per iniziare: bastano template ben scritti, un sistema di ticketing tradotto e tanta attenzione alle risposte.
    Il cliente estero apprezza la disponibilità, anche se non perfetta, più di quanto si creda.

    Vendere all’estero non è solo per multinazionali o startup tech. È possibile anche per piccoli brand digitali, se si parte con il giusto approccio e gli strumenti adatti.
    Oggi vendere nel mondo è una scelta strategica, non più un salto nel vuoto.

    #ecommerceinternazionale #vendereallestero #internazionalizzazione #digitalexport #ecommerceitalia #marketingglobale #impresadigitale #impresabiz

    Dall’Italia al mondo: come vendere all’estero Quando ho iniziato il mio percorso nell’e-commerce, il mio primo pensiero è stato: “Conquistiamo il mercato italiano, poi vedremo il resto.” Ma la realtà è che, nel digitale, il confine è spesso una nostra costruzione mentale più che un limite reale. I clienti sono ovunque — se sai dove e come cercarli. Oggi vendo stabilmente anche all’estero, e voglio condividere le strategie e gli strumenti che ho usato per internazionalizzare il mio e-commerce senza complicarmi la vita (e senza aprire filiali fisiche). 1. Partire dai marketplace internazionali Amazon, Etsy, eBay: questi canali sono stati il mio primo “ponte” verso l’estero. Permettono di testare la risposta dei clienti in nuovi mercati con costi contenuti e logistica semplificata. In particolare, con Amazon FBA ho potuto vendere in Europa gestendo tutto da qui. 2. Creare un sito multilingua (ma non solo in inglese) Il mio e-commerce è stato tradotto in inglese, ma ho notato un forte aumento delle conversioni quando ho localizzato anche in tedesco e francese. La traduzione non è solo linguistica, ma anche culturale: valute, metodi di pagamento, immagini, messaggi. Tutto deve far sentire il cliente “a casa”. 3. Investire in advertising geolocalizzato Con Meta Ads e Google Ads ho potuto testare micro-budget in nuovi paesi, analizzare i risultati e aumentare progressivamente solo dove il ROAS era interessante. Piccoli test → analisi → scaling. Questo approccio ha evitato sprechi e mi ha dato dati reali da cui partire. 4. Logistica e spedizioni: snodo cruciale Spedire all’estero sembrava complicato. In realtà, ci sono ottimi partner italiani che ti aiutano a gestire la logistica cross-border, con tracciamento, resi semplificati e accordi vantaggiosi sui costi. Un consiglio? Inizia con l’Unione Europea, dove la burocrazia è più semplice e i tempi sono competitivi. 5. Customer care in lingua: anche basico, ma presente Il supporto clienti è un elemento chiave per costruire fiducia. Non servono team madrelingua per iniziare: bastano template ben scritti, un sistema di ticketing tradotto e tanta attenzione alle risposte. Il cliente estero apprezza la disponibilità, anche se non perfetta, più di quanto si creda. Vendere all’estero non è solo per multinazionali o startup tech. È possibile anche per piccoli brand digitali, se si parte con il giusto approccio e gli strumenti adatti. Oggi vendere nel mondo è una scelta strategica, non più un salto nel vuoto. #ecommerceinternazionale #vendereallestero #internazionalizzazione #digitalexport #ecommerceitalia #marketingglobale #impresadigitale #impresabiz
    0 Commenti 0 Condivisioni 431 Viste 0 Recensioni
  • Intelligenza Artificiale per le PMI: Applicazioni Pratiche e Accessibili

    Noi di Impresa.biz siamo convinti che l’intelligenza artificiale non sia solo roba da multinazionali o colossi tech. Oggi esistono strumenti di AI accessibili, intuitivi e – in molti casi – gratuiti, che anche le piccole e medie imprese possono iniziare a usare da subito.

    L’obiettivo non è “sostituire” le persone, ma aumentare produttività, velocità e qualità. Ed è proprio quello che vediamo accadere ogni giorno nei progetti che accompagniamo.

    Ecco alcune applicazioni concrete dell’AI che consigliamo alle PMI italiane nel 2025.

    1. Automazione dei contenuti con l’AI
    Hai bisogno di scrivere post per i social, email commerciali, descrizioni prodotto, newsletter?
    Con strumenti come ChatGPT, Copy.ai o Notion AI, puoi generare testi in pochi secondi, partendo da semplici indicazioni.
     Perché è utile: risparmi tempo e mantieni una comunicazione costante e di qualità, anche senza un team marketing interno.

    2. Assistenza clienti automatizzata
    Chatbot come Tidio, Crisp o Chatfuel permettono di rispondere automaticamente alle domande frequenti, 24 ore su 24.
     Perché è utile: migliori l’esperienza cliente e riduci il carico sul tuo team, soprattutto su domande ricorrenti (orari, prezzi, disponibilità, ecc.).

    3. Traduzioni professionali in tempo reale
    Strumenti come DeepL usano l’AI per offrire traduzioni molto più naturali rispetto ai traduttori tradizionali.
    Perfetti per e-commerce, siti web multilingua o rapporti con clienti esteri.
     Perché è utile: puoi comunicare con mercati esteri senza costi aggiuntivi per traduttori, almeno nelle fasi iniziali.

    4. Analisi dei dati semplificata
    Con strumenti come Power BI, Google Looker Studio o Tableau (anche nelle versioni gratuite) puoi trasformare i tuoi dati aziendali (vendite, traffico, performance) in dashboard interattive.
    E oggi, molti tool integrano AI per creare report automatici o spiegarti i dati in linguaggio naturale.

     Perché è utile: prendi decisioni migliori, basate su numeri reali e facilmente leggibili anche senza competenze tecniche.

    5. Previsione della domanda e gestione scorte
    Alcuni software gestionali, come Zoho Inventory o QuickBooks, integrano modelli predittivi per ottimizzare il magazzino.
    L’AI analizza lo storico vendite, la stagionalità e le tendenze per suggerirti quanto (e cosa) ordinare.
     Perché è utile: riduci sprechi, eviti esaurimenti di scorte e ottimizzi il capitale circolante.

    6. Creazione di immagini e grafiche con AI
    Strumenti come Canva AI o DALL·E (integrato anche in ChatGPT) permettono di creare grafiche, immagini e contenuti visuali partendo da un’idea testuale.
     Perché è utile: anche senza grafico interno, puoi creare materiale visivo professionale e personalizzato.

    7. Formazione personalizzata per il tuo team
    Con piattaforme come Khanmigo, Coursera AI Coach o Learn.xyz, l’AI crea percorsi formativi su misura per le competenze che vuoi far crescere in azienda.
     Perché è utile: puoi formare il tuo team in modo continuo, adattando i contenuti alle esigenze reali del business.

    L’intelligenza artificiale non è un futuro lontano, è uno strumento attuale. E nel 2025 rappresenta una leva potente per rendere le PMI più competitive, agili e sostenibili.

    Noi di Impresa.biz crediamo che non sia necessario capire tutto di AI per iniziare. Serve solo aprirsi all’uso pratico e testare un passo alla volta.
    Le opportunità ci sono, e sono accessibili. Basta iniziare.

    #️⃣
    #IntelligenzaArtificiale #PMI2025 #ImpresaBiz #AIperleImprese #Automazione #AIpratica #ChatGPTperPMI #InnovazioneDigitale #Digitalizzazione #CrescitaPMI

    Intelligenza Artificiale per le PMI: Applicazioni Pratiche e Accessibili Noi di Impresa.biz siamo convinti che l’intelligenza artificiale non sia solo roba da multinazionali o colossi tech. Oggi esistono strumenti di AI accessibili, intuitivi e – in molti casi – gratuiti, che anche le piccole e medie imprese possono iniziare a usare da subito. L’obiettivo non è “sostituire” le persone, ma aumentare produttività, velocità e qualità. Ed è proprio quello che vediamo accadere ogni giorno nei progetti che accompagniamo. Ecco alcune applicazioni concrete dell’AI che consigliamo alle PMI italiane nel 2025. 1. Automazione dei contenuti con l’AI Hai bisogno di scrivere post per i social, email commerciali, descrizioni prodotto, newsletter? Con strumenti come ChatGPT, Copy.ai o Notion AI, puoi generare testi in pochi secondi, partendo da semplici indicazioni. ✅ Perché è utile: risparmi tempo e mantieni una comunicazione costante e di qualità, anche senza un team marketing interno. 2. Assistenza clienti automatizzata Chatbot come Tidio, Crisp o Chatfuel permettono di rispondere automaticamente alle domande frequenti, 24 ore su 24. ✅ Perché è utile: migliori l’esperienza cliente e riduci il carico sul tuo team, soprattutto su domande ricorrenti (orari, prezzi, disponibilità, ecc.). 3. Traduzioni professionali in tempo reale Strumenti come DeepL usano l’AI per offrire traduzioni molto più naturali rispetto ai traduttori tradizionali. Perfetti per e-commerce, siti web multilingua o rapporti con clienti esteri. ✅ Perché è utile: puoi comunicare con mercati esteri senza costi aggiuntivi per traduttori, almeno nelle fasi iniziali. 4. Analisi dei dati semplificata Con strumenti come Power BI, Google Looker Studio o Tableau (anche nelle versioni gratuite) puoi trasformare i tuoi dati aziendali (vendite, traffico, performance) in dashboard interattive. E oggi, molti tool integrano AI per creare report automatici o spiegarti i dati in linguaggio naturale. ✅ Perché è utile: prendi decisioni migliori, basate su numeri reali e facilmente leggibili anche senza competenze tecniche. 5. Previsione della domanda e gestione scorte Alcuni software gestionali, come Zoho Inventory o QuickBooks, integrano modelli predittivi per ottimizzare il magazzino. L’AI analizza lo storico vendite, la stagionalità e le tendenze per suggerirti quanto (e cosa) ordinare. ✅ Perché è utile: riduci sprechi, eviti esaurimenti di scorte e ottimizzi il capitale circolante. 6. Creazione di immagini e grafiche con AI Strumenti come Canva AI o DALL·E (integrato anche in ChatGPT) permettono di creare grafiche, immagini e contenuti visuali partendo da un’idea testuale. ✅ Perché è utile: anche senza grafico interno, puoi creare materiale visivo professionale e personalizzato. 7. Formazione personalizzata per il tuo team Con piattaforme come Khanmigo, Coursera AI Coach o Learn.xyz, l’AI crea percorsi formativi su misura per le competenze che vuoi far crescere in azienda. ✅ Perché è utile: puoi formare il tuo team in modo continuo, adattando i contenuti alle esigenze reali del business. L’intelligenza artificiale non è un futuro lontano, è uno strumento attuale. E nel 2025 rappresenta una leva potente per rendere le PMI più competitive, agili e sostenibili. Noi di Impresa.biz crediamo che non sia necessario capire tutto di AI per iniziare. Serve solo aprirsi all’uso pratico e testare un passo alla volta. Le opportunità ci sono, e sono accessibili. Basta iniziare. #️⃣ #IntelligenzaArtificiale #PMI2025 #ImpresaBiz #AIperleImprese #Automazione #AIpratica #ChatGPTperPMI #InnovazioneDigitale #Digitalizzazione #CrescitaPMI
    0 Commenti 0 Condivisioni 423 Viste 0 Recensioni
  • Internazionalizzazione per micro-imprese: quando e come è il momento giusto per fare il salto

    Quando ho iniziato a pensare all’internazionalizzazione del mio business, ero ancora una micro-imprenditrice. Niente team strutturato, niente grandi budget. Solo una forte ambizione e la domanda che mi ronzava in testa: “È troppo presto? O troppo tardi?”

    Oggi, dopo aver fatto il salto e portato il mio brand oltre i confini italiani, posso dirti con chiarezza: non è una questione di dimensioni, ma di preparazione.
    Ecco cosa ho imparato su quando e come una micro-impresa può iniziare il percorso verso l’estero.

    Quando è il momento giusto?
    1. Quando hai validato il tuo prodotto o servizio nel mercato locale
    Espandersi all’estero non risolve i problemi di un business che ancora non funziona in casa propria. Io ho aspettato di avere un’offerta solida, una customer base attiva e processi chiari prima di esportarla altrove.

    2. Quando c’è una domanda potenziale chiara e concreta
    Non basta voler “andare fuori”: serve una domanda da intercettare. Ho studiato i dati di traffico, le richieste ricevute dall’estero e i trend del settore. È lì che ho capito che esisteva davvero un pubblico interessato.

    3. Quando hai almeno una struttura minima per gestire l’aumento di complessità
    Anche da sola, ho costruito una rete snella ma funzionale: un partner logistico affidabile, strumenti digitali flessibili, e — fondamentale — un mindset pronto al cambiamento.

    Come iniziare, senza fare il passo più lungo della gamba
    1. Parti da un solo mercato
    Ho scelto un paese su cui concentrarmi. Uno solo. Questo mi ha permesso di studiarlo bene, testare in piccolo e capire cosa funzionava prima di scalare.

    2. Adatta la comunicazione, non solo la lingua
    Non ho semplicemente tradotto il sito: ho riscritto messaggi, ripensato offerte e rivisto i canali di comunicazione per rispecchiare i valori e le abitudini locali.

    3. Sfrutta il digitale per abbattere i costi
    E-commerce, social media, strumenti di automazione: grazie al digitale, anche una micro-impresa può gestire vendite internazionali con costi contenuti. È quello che ho fatto: nessun ufficio all’estero, solo una presenza smart e mirata.

    4. Chiedi aiuto, non fare tutto da sola
    Mi sono confrontata con chi ci era già passato, ho chiesto consulenze, ho partecipato a bandi e programmi per l’internazionalizzazione. Le risorse ci sono — serve solo la voglia di cercarle.

    Internazionalizzare non significa diventare multinazionali. Significa aprire il proprio business al mondo con intelligenza, umiltà e visione.
    E se sei una micro-imprenditrice con un progetto solido, questo salto può essere la leva che cambia davvero il gioco.

    #Internazionalizzazione #Microimpresa #BusinessAllEstero #CrescitaStrategica #ImprenditoriaDigitale #EspansioneInternazionale #ExportDigitale #SmallBusinessGrowth #ImprenditriceDigitale #StrategiaDiMercato
    Internazionalizzazione per micro-imprese: quando e come è il momento giusto per fare il salto Quando ho iniziato a pensare all’internazionalizzazione del mio business, ero ancora una micro-imprenditrice. Niente team strutturato, niente grandi budget. Solo una forte ambizione e la domanda che mi ronzava in testa: “È troppo presto? O troppo tardi?” Oggi, dopo aver fatto il salto e portato il mio brand oltre i confini italiani, posso dirti con chiarezza: non è una questione di dimensioni, ma di preparazione. Ecco cosa ho imparato su quando e come una micro-impresa può iniziare il percorso verso l’estero. 📍 Quando è il momento giusto? 1. Quando hai validato il tuo prodotto o servizio nel mercato locale Espandersi all’estero non risolve i problemi di un business che ancora non funziona in casa propria. Io ho aspettato di avere un’offerta solida, una customer base attiva e processi chiari prima di esportarla altrove. 2. Quando c’è una domanda potenziale chiara e concreta Non basta voler “andare fuori”: serve una domanda da intercettare. Ho studiato i dati di traffico, le richieste ricevute dall’estero e i trend del settore. È lì che ho capito che esisteva davvero un pubblico interessato. 3. Quando hai almeno una struttura minima per gestire l’aumento di complessità Anche da sola, ho costruito una rete snella ma funzionale: un partner logistico affidabile, strumenti digitali flessibili, e — fondamentale — un mindset pronto al cambiamento. 🛠️ Come iniziare, senza fare il passo più lungo della gamba 1. Parti da un solo mercato Ho scelto un paese su cui concentrarmi. Uno solo. Questo mi ha permesso di studiarlo bene, testare in piccolo e capire cosa funzionava prima di scalare. 2. Adatta la comunicazione, non solo la lingua Non ho semplicemente tradotto il sito: ho riscritto messaggi, ripensato offerte e rivisto i canali di comunicazione per rispecchiare i valori e le abitudini locali. 3. Sfrutta il digitale per abbattere i costi E-commerce, social media, strumenti di automazione: grazie al digitale, anche una micro-impresa può gestire vendite internazionali con costi contenuti. È quello che ho fatto: nessun ufficio all’estero, solo una presenza smart e mirata. 4. Chiedi aiuto, non fare tutto da sola Mi sono confrontata con chi ci era già passato, ho chiesto consulenze, ho partecipato a bandi e programmi per l’internazionalizzazione. Le risorse ci sono — serve solo la voglia di cercarle. Internazionalizzare non significa diventare multinazionali. Significa aprire il proprio business al mondo con intelligenza, umiltà e visione. E se sei una micro-imprenditrice con un progetto solido, questo salto può essere la leva che cambia davvero il gioco. #Internazionalizzazione #Microimpresa #BusinessAllEstero #CrescitaStrategica #ImprenditoriaDigitale #EspansioneInternazionale #ExportDigitale #SmallBusinessGrowth #ImprenditriceDigitale #StrategiaDiMercato
    0 Commenti 0 Condivisioni 379 Viste 0 Recensioni
  • L’internazionalizzazione spiegata a chi non sa nemmeno cosa voglia dire

    Quando ho sentito la parola “internazionalizzazione” per la prima volta, ho pensato:
    “Uhm… roba da multinazionali e uomini in giacca e cravatta, vero?”
    SBAGLIATO.

    L’ho scoperto solo dopo che l’internazionalizzazione può essere una figata anche per freelance, piccole imprese, artigiani, creator, startupper… insomma: anche per me. E forse anche per te.

    Ma quindi… che vuol dire internazionalizzarsi?
    In parole povere:
    Portare la tua attività, i tuoi prodotti o i tuoi servizi… fuori dai confini italiani.

    Non serve aprire sedi in Asia o parlare 7 lingue fluenti.
    Vuol dire anche solo vendere online a clienti in Francia, fare consulenze in inglese, spedire i tuoi prodotti handmade in Germania, collaborare con brand stranieri.

    E perché dovresti pensarci anche tu?
    -Perché il tuo mercato non finisce all’Italia
    -Perché fuori c’è più domanda di quanto immagini
    -Perché diversificare = più sicurezza (soprattutto nei momenti incerti)
    -Perché spesso fuori ci pagano pure meglio

    Serve essere esperta di export? No.
    Serve avere voglia di uscire dalla comfort zone, studiare un po’ e provare. Io ho iniziato facendo tutto da sola, con Google Translate e una voglia matta di farcela

    Internazionalizzarsi non è solo per aziende gigantesche. È per chi ha una visione, un prodotto valido e la voglia di portarlo oltre. Anche se oggi ti sembra impossibile… inizia a pensarci.

    Perché il mondo è grande, e c’è posto anche per te.

    #InternazionalizzazioneSemplice #BusinessGlobale #FattiNotareNelMondo #PMI #FreelanceGlobale #VendereAllEstero #PensareInGrande #DonneCheOsano
    L’internazionalizzazione spiegata a chi non sa nemmeno cosa voglia dire 🌍🤯 Quando ho sentito la parola “internazionalizzazione” per la prima volta, ho pensato: “Uhm… roba da multinazionali e uomini in giacca e cravatta, vero?” SBAGLIATO. 🙅‍♀️ L’ho scoperto solo dopo che l’internazionalizzazione può essere una figata anche per freelance, piccole imprese, artigiani, creator, startupper… insomma: anche per me. E forse anche per te. 💥 Ma quindi… che vuol dire internazionalizzarsi? 🤔 In parole povere: Portare la tua attività, i tuoi prodotti o i tuoi servizi… fuori dai confini italiani. 🇮🇹✈️ Non serve aprire sedi in Asia o parlare 7 lingue fluenti. Vuol dire anche solo vendere online a clienti in Francia, fare consulenze in inglese, spedire i tuoi prodotti handmade in Germania, collaborare con brand stranieri. E perché dovresti pensarci anche tu? 💡 -Perché il tuo mercato non finisce all’Italia -Perché fuori c’è più domanda di quanto immagini -Perché diversificare = più sicurezza (soprattutto nei momenti incerti) -Perché spesso fuori ci pagano pure meglio 👀💶 Serve essere esperta di export? No. Serve avere voglia di uscire dalla comfort zone, studiare un po’ e provare. Io ho iniziato facendo tutto da sola, con Google Translate e una voglia matta di farcela 💻🌐 🎯Internazionalizzarsi non è solo per aziende gigantesche. È per chi ha una visione, un prodotto valido e la voglia di portarlo oltre. Anche se oggi ti sembra impossibile… inizia a pensarci. Perché il mondo è grande, e c’è posto anche per te. 🌍❤️ #InternazionalizzazioneSemplice #BusinessGlobale #FattiNotareNelMondo #PMI #FreelanceGlobale #VendereAllEstero #PensareInGrande #DonneCheOsano
    0 Commenti 0 Condivisioni 275 Viste 0 Recensioni
  • Credito all’esportazione: cos’è e come funziona per le imprese italiane

    Noi di Impresa.biz siamo convinti che l’internazionalizzazione debba essere sostenuta non solo da buone idee, ma anche da strumenti concreti. Uno di questi è il credito all’esportazione, una leva strategica – spesso poco conosciuta – che può fare la differenza nei contratti con clienti esteri, soprattutto in Paesi extra-UE.
    In questo articolo facciamo chiarezza su cos’è, come funziona e perché è utile anche alle PMI.

    Cos’è il credito all’esportazione?
    Il credito all’esportazione è un meccanismo finanziario che consente all’impresa esportatrice italiana di offrire condizioni di pagamento dilazionate al cliente estero, senza dover rinunciare alla liquidità immediata.

    In pratica, è una forma di finanziamento garantito, che facilita la conclusione di contratti internazionali, specie in settori come:
    -macchinari,
    -impianti industriali,
    -infrastrutture,
    -beni strumentali complessi.

    Come funziona il meccanismo
    Due modelli principali:
    1. Credito fornitore
    L’impresa italiana concede al cliente estero un pagamento dilazionato (es. 2-5 anni) e ottiene il pagamento immediato grazie al finanziamento di una banca (italiana o internazionale). Il rischio commerciale viene coperto da SACE, che garantisce il credito in caso di insolvenza.
    È la formula più utilizzata dalle PMI italiane.

    2. Credito acquirente
    La banca italiana (o internazionale) eroga direttamente un prestito al cliente estero, che lo utilizza per pagare l’impresa italiana. In questo caso, il rapporto di credito è tra banca e acquirente straniero, ma è sempre garantito da SACE.
    Usato più spesso nei grandi progetti con clienti pubblici o multinazionali.

    Il ruolo di SACE
    SACE, società del gruppo Cassa Depositi e Prestiti, è l’ente di garanzia pubblica che copre il rischio di mancato pagamento da parte del cliente estero. Grazie alle sue garanzie:
    -la banca eroga il finanziamento con maggiore sicurezza,
    -l’impresa italiana incassa subito,
    -il cliente estero ottiene condizioni di pagamento agevolate.
    Senza SACE, la banca raramente accetterebbe di finanziare clienti esteri su lunga durata.

    A chi conviene e perché
    Alle imprese italiane che vogliono:
    -Concludere contratti più competitivi (dilazione = vantaggio commerciale),
    -Ridurre il rischio di credito,
    -Incassare subito il valore della fornitura.

    Ai clienti esteri che:
    -Possono acquistare in modo più sostenibile,
    -Non hanno accesso immediato a finanziamenti nel proprio Paese.

    Quali sono i requisiti?
    Per accedere al credito all’esportazione con copertura SACE, è necessario:
    -Avere un contratto di fornitura con cliente estero, firmato o in fase avanzata,
    -Dimostrare che almeno il 70% del valore è “made in Italy” (contenuto nazionale),
    -Presentare una documentazione tecnica e finanziaria chiara,
    -Coinvolgere una banca italiana o internazionale con esperienza in export finance.

    I tempi
    -Fase di studio/preistruttoria: 2-3 settimane con banca e SACE
    -Approvazione e firma contrattuale: 1-2 mesi
    -Erogazione: dopo la firma dei contratti e avvio della fornitura
    Meglio iniziare il processo in parallelo alla trattativa commerciale, non dopo.

    Il nostro consiglio
    Il credito all’esportazione non è solo per le grandi aziende. Con il giusto supporto, anche una PMI può usarlo per vincere gare internazionali, espandersi in nuovi mercati e fidelizzare clienti esteri.

    Noi di Impresa.biz supportiamo le imprese nella preparazione della documentazione, nella gestione della trattativa con le banche e nella richiesta di garanzia a SACE.

    Contattaci per una pre-valutazione gratuita del tuo progetto di export.

    #CreditoAllEsportazione #SACE #ExportPMI #Internazionalizzazione #ExportFinance #GaranziePubbliche #FinanziamentiEstero #MadeInItaly #Impresabiz

    Credito all’esportazione: cos’è e come funziona per le imprese italiane Noi di Impresa.biz siamo convinti che l’internazionalizzazione debba essere sostenuta non solo da buone idee, ma anche da strumenti concreti. Uno di questi è il credito all’esportazione, una leva strategica – spesso poco conosciuta – che può fare la differenza nei contratti con clienti esteri, soprattutto in Paesi extra-UE. In questo articolo facciamo chiarezza su cos’è, come funziona e perché è utile anche alle PMI. 📌 Cos’è il credito all’esportazione? Il credito all’esportazione è un meccanismo finanziario che consente all’impresa esportatrice italiana di offrire condizioni di pagamento dilazionate al cliente estero, senza dover rinunciare alla liquidità immediata. In pratica, è una forma di finanziamento garantito, che facilita la conclusione di contratti internazionali, specie in settori come: -macchinari, -impianti industriali, -infrastrutture, -beni strumentali complessi. 🔍 Come funziona il meccanismo Due modelli principali: 1. Credito fornitore L’impresa italiana concede al cliente estero un pagamento dilazionato (es. 2-5 anni) e ottiene il pagamento immediato grazie al finanziamento di una banca (italiana o internazionale). Il rischio commerciale viene coperto da SACE, che garantisce il credito in caso di insolvenza. 👉 È la formula più utilizzata dalle PMI italiane. 2. Credito acquirente La banca italiana (o internazionale) eroga direttamente un prestito al cliente estero, che lo utilizza per pagare l’impresa italiana. In questo caso, il rapporto di credito è tra banca e acquirente straniero, ma è sempre garantito da SACE. 👉 Usato più spesso nei grandi progetti con clienti pubblici o multinazionali. 🛡️ Il ruolo di SACE SACE, società del gruppo Cassa Depositi e Prestiti, è l’ente di garanzia pubblica che copre il rischio di mancato pagamento da parte del cliente estero. Grazie alle sue garanzie: -la banca eroga il finanziamento con maggiore sicurezza, -l’impresa italiana incassa subito, -il cliente estero ottiene condizioni di pagamento agevolate. 📌 Senza SACE, la banca raramente accetterebbe di finanziare clienti esteri su lunga durata. 🎯 A chi conviene e perché ✅ Alle imprese italiane che vogliono: -Concludere contratti più competitivi (dilazione = vantaggio commerciale), -Ridurre il rischio di credito, -Incassare subito il valore della fornitura. ✅ Ai clienti esteri che: -Possono acquistare in modo più sostenibile, -Non hanno accesso immediato a finanziamenti nel proprio Paese. 🧩 Quali sono i requisiti? Per accedere al credito all’esportazione con copertura SACE, è necessario: -Avere un contratto di fornitura con cliente estero, firmato o in fase avanzata, -Dimostrare che almeno il 70% del valore è “made in Italy” (contenuto nazionale), -Presentare una documentazione tecnica e finanziaria chiara, -Coinvolgere una banca italiana o internazionale con esperienza in export finance. ⏱️ I tempi -Fase di studio/preistruttoria: 2-3 settimane con banca e SACE -Approvazione e firma contrattuale: 1-2 mesi -Erogazione: dopo la firma dei contratti e avvio della fornitura 📌 Meglio iniziare il processo in parallelo alla trattativa commerciale, non dopo. Il nostro consiglio Il credito all’esportazione non è solo per le grandi aziende. Con il giusto supporto, anche una PMI può usarlo per vincere gare internazionali, espandersi in nuovi mercati e fidelizzare clienti esteri. Noi di Impresa.biz supportiamo le imprese nella preparazione della documentazione, nella gestione della trattativa con le banche e nella richiesta di garanzia a SACE. 📩 Contattaci per una pre-valutazione gratuita del tuo progetto di export. 🌍 #CreditoAllEsportazione #SACE #ExportPMI #Internazionalizzazione #ExportFinance #GaranziePubbliche #FinanziamentiEstero #MadeInItaly #Impresabiz
    0 Commenti 0 Condivisioni 266 Viste 0 Recensioni
  • Fiscalità delle Multinazionali: Come Navigare le Nuove Normative Internazionali Dopo la Riforma Fiscale Globale

    In Impresa.biz, ci rendiamo conto che le multinazionali si trovano ad affrontare nuove sfide fiscali dopo la recente riforma fiscale globale. Le modifiche introdotte dall'OCSE hanno cambiato le regole della fiscalità internazionale, e noi, come consulenti fiscali, sappiamo quanto sia cruciale adattarsi a queste nuove normative per garantire conformità e ottimizzare la pianificazione fiscale internazionale.

    La Riforma Fiscale Globale: Cosa Cambia?
    La riforma fiscale globale, che ha coinvolto oltre 130 Paesi, ha introdotto cambiamenti significativi, tra cui:
    -Imposta minima globale del 15%: I Paesi non possono più applicare tassi fiscali inferiori a questa soglia, limitando la possibilità di trasferire profitti in giurisdizioni a bassa tassazione.
    -Allocazione dei profitti: Le nuove regole stabiliscono come i profitti devono essere distribuiti tra i vari Paesi in cui operano le multinazionali.
    -Digital Services Tax (DST): Le multinazionali digitali sono ora soggette a imposte anche nei Paesi dove non hanno una presenza fisica.
    -Modifiche ai transfer pricing: Le aziende sono obbligate a mantenere una documentazione più rigorosa sui prezzi di trasferimento tra le varie entità.

    Come Navigare le Nuove Normative Fiscali?
    In Impresa.biz, crediamo che le multinazionali debbano rivedere le loro strategie fiscali globali per adattarsi a queste nuove regole. Ecco come possiamo aiutarvi a navigare questo cambiamento:

    1. Rivedere la Struttura Fiscale
    Aiutiamo le aziende a analizzare la distribuzione dei profitti e a rivedere la struttura fiscale globale per evitare imposte aggiuntive. È fondamentale allineare i modelli operativi alle nuove normative fiscali.
    2. Pianificazione dei Profitti
    Con l'introduzione dell'imposta minima globale e le nuove regole sull'allocazione dei profitti, assistiamo le multinazionali nella pianificazione fiscale per dichiarare correttamente i profitti nei mercati di riferimento. È fondamentale rivedere le politiche di transfer pricing per evitare problematiche fiscali.
    3. Gestire la Digital Services Tax
    In qualità di consulenti, possiamo supportare le aziende digitali nell'affrontare la tassa sui servizi digitali, adattando i modelli di business per ridurre al minimo l'impatto fiscale.
    4. Investire in Documentazione e Compliance
    Supportiamo le multinazionali nell'adozione di sistemi di raccolta dati e nella preparazione della documentazione fiscale, garantendo che tutte le pratiche siano conformi alle nuove regole sui transfer pricing.

    Opportunità per le Multinazionali
    Pur trattandosi di una sfida, la riforma fiscale globale offre anche opportunità. Il sistema fiscale più armonizzato riduce i conflitti tra giurisdizioni e crea un ambiente commerciale più stabile. Le multinazionali che si adattano velocemente possono ottenere vantaggi competitivi e migliorare la loro reputazione fiscale globale.

    In Impresa.biz, sappiamo che la pianificazione fiscale internazionale è fondamentale per navigare con successo le nuove normative fiscali globali. Con una strategia solida e l'adozione di tecnologie avanzate per la gestione fiscale, possiamo aiutarvi a ridurre i rischi fiscali e a proteggere la posizione della vostra azienda nei mercati internazionali.

    #FiscalitàInternazionale #Multinazionali #RiformaFiscaleGlobale #PianificazioneFiscale #OECD #DigitalServicesTax #TransferPricing #ComplianceFiscale #FiscalitàGlobale

    Se avete bisogno di supporto nella gestione della nuova normativa fiscale globale, contattateci per una consulenza personalizzata.

    Fiscalità delle Multinazionali: Come Navigare le Nuove Normative Internazionali Dopo la Riforma Fiscale Globale In Impresa.biz, ci rendiamo conto che le multinazionali si trovano ad affrontare nuove sfide fiscali dopo la recente riforma fiscale globale. Le modifiche introdotte dall'OCSE hanno cambiato le regole della fiscalità internazionale, e noi, come consulenti fiscali, sappiamo quanto sia cruciale adattarsi a queste nuove normative per garantire conformità e ottimizzare la pianificazione fiscale internazionale. La Riforma Fiscale Globale: Cosa Cambia? La riforma fiscale globale, che ha coinvolto oltre 130 Paesi, ha introdotto cambiamenti significativi, tra cui: -Imposta minima globale del 15%: I Paesi non possono più applicare tassi fiscali inferiori a questa soglia, limitando la possibilità di trasferire profitti in giurisdizioni a bassa tassazione. -Allocazione dei profitti: Le nuove regole stabiliscono come i profitti devono essere distribuiti tra i vari Paesi in cui operano le multinazionali. -Digital Services Tax (DST): Le multinazionali digitali sono ora soggette a imposte anche nei Paesi dove non hanno una presenza fisica. -Modifiche ai transfer pricing: Le aziende sono obbligate a mantenere una documentazione più rigorosa sui prezzi di trasferimento tra le varie entità. Come Navigare le Nuove Normative Fiscali? In Impresa.biz, crediamo che le multinazionali debbano rivedere le loro strategie fiscali globali per adattarsi a queste nuove regole. Ecco come possiamo aiutarvi a navigare questo cambiamento: 1. Rivedere la Struttura Fiscale Aiutiamo le aziende a analizzare la distribuzione dei profitti e a rivedere la struttura fiscale globale per evitare imposte aggiuntive. È fondamentale allineare i modelli operativi alle nuove normative fiscali. 2. Pianificazione dei Profitti Con l'introduzione dell'imposta minima globale e le nuove regole sull'allocazione dei profitti, assistiamo le multinazionali nella pianificazione fiscale per dichiarare correttamente i profitti nei mercati di riferimento. È fondamentale rivedere le politiche di transfer pricing per evitare problematiche fiscali. 3. Gestire la Digital Services Tax In qualità di consulenti, possiamo supportare le aziende digitali nell'affrontare la tassa sui servizi digitali, adattando i modelli di business per ridurre al minimo l'impatto fiscale. 4. Investire in Documentazione e Compliance Supportiamo le multinazionali nell'adozione di sistemi di raccolta dati e nella preparazione della documentazione fiscale, garantendo che tutte le pratiche siano conformi alle nuove regole sui transfer pricing. Opportunità per le Multinazionali Pur trattandosi di una sfida, la riforma fiscale globale offre anche opportunità. Il sistema fiscale più armonizzato riduce i conflitti tra giurisdizioni e crea un ambiente commerciale più stabile. Le multinazionali che si adattano velocemente possono ottenere vantaggi competitivi e migliorare la loro reputazione fiscale globale. In Impresa.biz, sappiamo che la pianificazione fiscale internazionale è fondamentale per navigare con successo le nuove normative fiscali globali. Con una strategia solida e l'adozione di tecnologie avanzate per la gestione fiscale, possiamo aiutarvi a ridurre i rischi fiscali e a proteggere la posizione della vostra azienda nei mercati internazionali. #FiscalitàInternazionale #Multinazionali #RiformaFiscaleGlobale #PianificazioneFiscale #OECD #DigitalServicesTax #TransferPricing #ComplianceFiscale #FiscalitàGlobale Se avete bisogno di supporto nella gestione della nuova normativa fiscale globale, contattateci per una consulenza personalizzata.
    0 Commenti 0 Condivisioni 572 Viste 0 Recensioni
  • Web Tax e Digital Services Tax: cosa devono sapere le aziende italiane nel commercio online

    Nel 2025, il quadro fiscale internazionale continua a evolversi rapidamente, soprattutto per quanto riguarda la tassazione dell’economia digitale. Molte aziende italiane che operano online – anche PMI e startup – si trovano a dover fare i conti con Web Tax, Digital Services Tax e normative OCSE in continua definizione.

    Noi di impresa.biz siamo in prima linea nel supportare queste realtà, aiutandole a comprendere gli impatti concreti di queste norme, a tutelarsi da rischi fiscali e a cogliere le opportunità di una corretta pianificazione.

    Web Tax e Digital Services Tax: cosa sono e perché esistono
    Le cosiddette “Web Tax” sono nate come risposta all’esigenza, da parte dei governi, di tassare i profitti generati dalle multinazionali digitali in mercati in cui non hanno una presenza fisica ma realizzano comunque ricavi significativi.

    In Italia, è stata introdotta la Digital Services Tax (DST), un’imposta del 3% (in vigore, salvo modifiche, dal 2020) su:
    -Vendita di spazi pubblicitari online;
    -Fornitura di piattaforme digitali che favoriscono l’interazione tra utenti;
    -Trasmissione di dati raccolti da utenti in Italia.

    Ma riguarda solo i colossi del web?
    No, ed è qui che molte aziende italiane si sorprendono.
    Sebbene la DST italiana si applichi formalmente a gruppi con ricavi globali superiori a 750 milioni di euro (e 5,5 milioni da servizi digitali in Italia), molti altri Paesi europei stanno adottando versioni locali della web tax con soglie più basse, e spesso i marketplace o le piattaforme estere scaricano questi costi sulle imprese italiane che vi operano.

    Inoltre, con l’implementazione progressiva del Pillar 1 del BEPS 2.0, è probabile che anche aziende italiane con vendite digitali all’estero si troveranno a dover versare imposte in più Stati, in base alla localizzazione degli utenti.

    Cosa deve sapere (e fare) un’azienda italiana online nel 2025
    Noi di impresa.biz consigliamo a tutte le aziende che operano nel commercio elettronico o nei servizi digitali di porre particolare attenzione a questi aspetti:

    -Analizzare dove si trovano i propri utenti/clienti finali: i nuovi regimi fiscali guardano sempre di più alla “location dell’utente” per determinare dove tassare i ricavi.
    -Verificare l’esposizione alla DST in Italia e all’estero: anche se la propria azienda non supera le soglie, può essere coinvolta indirettamente, ad esempio attraverso commissioni applicate dai marketplace.
    -Gestire i contratti e la documentazione fiscale con precisione: la tracciabilità e la trasparenza sono fondamentali per evitare contestazioni.
    -Monitorare le novità normative in ogni Paese in cui si vendono prodotti o servizi: il rischio fiscale non riguarda solo l’Italia, ma ogni mercato digitale estero in cui l’azienda è attiva.

    Opportunità: il digitale cresce, ma serve preparazione
    Se da un lato queste nuove tasse rappresentano una maggiore complessità, dall’altro l’espansione dell’e-commerce e dei servizi digitali apre opportunità senza precedenti per le imprese italiane, a patto che la struttura fiscale sia solida e sostenibile.

    Noi di impresa.biz lavoriamo al fianco di imprese che vendono su marketplace, gestiscono e-commerce proprietari o offrono servizi digitali B2B e B2C, aiutandole a costruire modelli fiscali coerenti con l’evoluzione internazionale e con l’ecosistema digitale.

    La tua azienda opera nel digitale o vende online anche all’estero?
    Contattaci per una consulenza: evitiamo insieme rischi inutili e costi imprevisti.

    #WebTax #DigitalServicesTax #DSTItalia #CommercioOnline #Ecommerce2025 #FiscalitàDigitale #BEPS2 #ImpresaBiz #TassazioneDigitale #Marketplace #ConsulenzaFiscale

    Web Tax e Digital Services Tax: cosa devono sapere le aziende italiane nel commercio online Nel 2025, il quadro fiscale internazionale continua a evolversi rapidamente, soprattutto per quanto riguarda la tassazione dell’economia digitale. Molte aziende italiane che operano online – anche PMI e startup – si trovano a dover fare i conti con Web Tax, Digital Services Tax e normative OCSE in continua definizione. Noi di impresa.biz siamo in prima linea nel supportare queste realtà, aiutandole a comprendere gli impatti concreti di queste norme, a tutelarsi da rischi fiscali e a cogliere le opportunità di una corretta pianificazione. Web Tax e Digital Services Tax: cosa sono e perché esistono Le cosiddette “Web Tax” sono nate come risposta all’esigenza, da parte dei governi, di tassare i profitti generati dalle multinazionali digitali in mercati in cui non hanno una presenza fisica ma realizzano comunque ricavi significativi. In Italia, è stata introdotta la Digital Services Tax (DST), un’imposta del 3% (in vigore, salvo modifiche, dal 2020) su: -Vendita di spazi pubblicitari online; -Fornitura di piattaforme digitali che favoriscono l’interazione tra utenti; -Trasmissione di dati raccolti da utenti in Italia. Ma riguarda solo i colossi del web? No, ed è qui che molte aziende italiane si sorprendono. Sebbene la DST italiana si applichi formalmente a gruppi con ricavi globali superiori a 750 milioni di euro (e 5,5 milioni da servizi digitali in Italia), molti altri Paesi europei stanno adottando versioni locali della web tax con soglie più basse, e spesso i marketplace o le piattaforme estere scaricano questi costi sulle imprese italiane che vi operano. Inoltre, con l’implementazione progressiva del Pillar 1 del BEPS 2.0, è probabile che anche aziende italiane con vendite digitali all’estero si troveranno a dover versare imposte in più Stati, in base alla localizzazione degli utenti. Cosa deve sapere (e fare) un’azienda italiana online nel 2025 Noi di impresa.biz consigliamo a tutte le aziende che operano nel commercio elettronico o nei servizi digitali di porre particolare attenzione a questi aspetti: -Analizzare dove si trovano i propri utenti/clienti finali: i nuovi regimi fiscali guardano sempre di più alla “location dell’utente” per determinare dove tassare i ricavi. -Verificare l’esposizione alla DST in Italia e all’estero: anche se la propria azienda non supera le soglie, può essere coinvolta indirettamente, ad esempio attraverso commissioni applicate dai marketplace. -Gestire i contratti e la documentazione fiscale con precisione: la tracciabilità e la trasparenza sono fondamentali per evitare contestazioni. -Monitorare le novità normative in ogni Paese in cui si vendono prodotti o servizi: il rischio fiscale non riguarda solo l’Italia, ma ogni mercato digitale estero in cui l’azienda è attiva. Opportunità: il digitale cresce, ma serve preparazione Se da un lato queste nuove tasse rappresentano una maggiore complessità, dall’altro l’espansione dell’e-commerce e dei servizi digitali apre opportunità senza precedenti per le imprese italiane, a patto che la struttura fiscale sia solida e sostenibile. Noi di impresa.biz lavoriamo al fianco di imprese che vendono su marketplace, gestiscono e-commerce proprietari o offrono servizi digitali B2B e B2C, aiutandole a costruire modelli fiscali coerenti con l’evoluzione internazionale e con l’ecosistema digitale. 📌 La tua azienda opera nel digitale o vende online anche all’estero? Contattaci per una consulenza: evitiamo insieme rischi inutili e costi imprevisti. #WebTax #DigitalServicesTax #DSTItalia #CommercioOnline #Ecommerce2025 #FiscalitàDigitale #BEPS2 #ImpresaBiz #TassazioneDigitale #Marketplace #ConsulenzaFiscale
    0 Commenti 0 Condivisioni 482 Viste 0 Recensioni
  • Le novità del BEPS 2.0: cosa cambia per le PMI italiane con attività all’estero

    Nel 2025 il progetto BEPS 2.0 dell’OCSE ha superato la fase teorica ed è entrato pienamente in vigore, portando con sé una serie di implicazioni concrete anche per le PMI italiane che operano oltre confine.
    Noi di impresa.biz, da sempre attenti alle evoluzioni della fiscalità internazionale, stiamo supportando numerose imprese nell’adeguarsi al nuovo scenario. Ecco cosa sta davvero cambiando – e perché è importante agire subito.

    Cos’è il BEPS 2.0?
    Il progetto BEPS (Base Erosion and Profit Shifting) nasce per combattere l’erosione della base imponibile e il trasferimento artificiale dei profitti in Paesi a bassa fiscalità.
    Con la versione 2.0, l’OCSE introduce due pilastri fondamentali:

    -Pillar 1: ridistribuzione del diritto di tassazione tra Paesi, anche in assenza di stabile organizzazione, per le imprese con significativa attività digitale o commerciale all’estero.
    -Pillar 2: introduzione di un’imposta minima globale del 15% per i gruppi con ricavi consolidati superiori a 750 milioni di euro, attraverso il meccanismo del Global Anti-Base Erosion (GloBE).

    A prima vista, potrebbe sembrare che questi cambiamenti riguardino solo le multinazionali. Ma la realtà è diversa.

    Perché anche le PMI italiane devono prestare attenzione
    Nel nostro lavoro di consulenza, abbiamo osservato come molti principi del BEPS 2.0 abbiano ricadute anche sulle PMI, soprattutto quelle con filiali, società controllate o strutture holding all’estero. Ecco perché:

    -Effetto domino normativo: diversi Paesi stanno già adottando norme simili a quelle del BEPS 2.0, anche per imprese al di sotto della soglia dei 750 milioni, alzando il livello dei controlli.
    -Maggiore trasparenza fiscale: l’obbligo di dimostrare la sostanza economica delle attività estere diventa sempre più stringente.
    -Controlli incrociati automatici: grazie allo scambio di informazioni tra Stati (CRS), le autorità fiscali italiane sono oggi in grado di rilevare facilmente incongruenze tra struttura e operatività.
    -Nuovi standard per i transfer pricing: anche le PMI devono adeguare le loro politiche interne per evitare contestazioni sui prezzi di trasferimento tra società del gruppo.

    Le opportunità per chi si adegua in tempo
    Noi crediamo che ogni cambiamento normativo porti con sé non solo obblighi, ma anche opportunità per chi sa adattarsi. In particolare, il nuovo contesto permette alle PMI:

    -Di rafforzare la propria credibilità a livello internazionale, costruendo strutture trasparenti e sostenibili.
    -Di anticipare verifiche e controlli, evitando contestazioni future.
    -Di pianificare l’espansione all’estero in modo più efficiente, sfruttando le convenzioni contro la doppia imposizione e i vantaggi di alcune giurisdizioni cooperative.

    Cosa consigliamo alle PMI italiane nel 2025
    Noi di impresa.biz stiamo accompagnando le PMI italiane verso un nuovo modello di fiscalità internazionale, basato su legalità, sostanza e pianificazione.
    Ecco le prime azioni che suggeriamo:

    -Verificare la compliance delle strutture estere già esistenti, valutando rischi e opportunità.
    -Rivedere la documentazione fiscale, in particolare le politiche di transfer pricing.
    -Costruire nuove strutture con un approccio “BEPS-proof”, ossia solide dal punto di vista della sostanza economica e della coerenza fiscale.

    La tua PMI è pronta per il nuovo scenario fiscale internazionale?
    Contattaci per una consulenza: possiamo aiutarti a trasformare un obbligo in un vantaggio competitivo.

    #BEPS2025 #BEPS2 #FiscalitàInternazionale #PMIAllEstero #ImposteMinimeGlobali #TransferPricing #Internazionalizzazione #ImpresaBiz #PianificazioneFiscale #ComplianceFiscale

    Le novità del BEPS 2.0: cosa cambia per le PMI italiane con attività all’estero Nel 2025 il progetto BEPS 2.0 dell’OCSE ha superato la fase teorica ed è entrato pienamente in vigore, portando con sé una serie di implicazioni concrete anche per le PMI italiane che operano oltre confine. Noi di impresa.biz, da sempre attenti alle evoluzioni della fiscalità internazionale, stiamo supportando numerose imprese nell’adeguarsi al nuovo scenario. Ecco cosa sta davvero cambiando – e perché è importante agire subito. Cos’è il BEPS 2.0? Il progetto BEPS (Base Erosion and Profit Shifting) nasce per combattere l’erosione della base imponibile e il trasferimento artificiale dei profitti in Paesi a bassa fiscalità. Con la versione 2.0, l’OCSE introduce due pilastri fondamentali: -Pillar 1: ridistribuzione del diritto di tassazione tra Paesi, anche in assenza di stabile organizzazione, per le imprese con significativa attività digitale o commerciale all’estero. -Pillar 2: introduzione di un’imposta minima globale del 15% per i gruppi con ricavi consolidati superiori a 750 milioni di euro, attraverso il meccanismo del Global Anti-Base Erosion (GloBE). A prima vista, potrebbe sembrare che questi cambiamenti riguardino solo le multinazionali. Ma la realtà è diversa. Perché anche le PMI italiane devono prestare attenzione Nel nostro lavoro di consulenza, abbiamo osservato come molti principi del BEPS 2.0 abbiano ricadute anche sulle PMI, soprattutto quelle con filiali, società controllate o strutture holding all’estero. Ecco perché: -Effetto domino normativo: diversi Paesi stanno già adottando norme simili a quelle del BEPS 2.0, anche per imprese al di sotto della soglia dei 750 milioni, alzando il livello dei controlli. -Maggiore trasparenza fiscale: l’obbligo di dimostrare la sostanza economica delle attività estere diventa sempre più stringente. -Controlli incrociati automatici: grazie allo scambio di informazioni tra Stati (CRS), le autorità fiscali italiane sono oggi in grado di rilevare facilmente incongruenze tra struttura e operatività. -Nuovi standard per i transfer pricing: anche le PMI devono adeguare le loro politiche interne per evitare contestazioni sui prezzi di trasferimento tra società del gruppo. Le opportunità per chi si adegua in tempo Noi crediamo che ogni cambiamento normativo porti con sé non solo obblighi, ma anche opportunità per chi sa adattarsi. In particolare, il nuovo contesto permette alle PMI: -Di rafforzare la propria credibilità a livello internazionale, costruendo strutture trasparenti e sostenibili. -Di anticipare verifiche e controlli, evitando contestazioni future. -Di pianificare l’espansione all’estero in modo più efficiente, sfruttando le convenzioni contro la doppia imposizione e i vantaggi di alcune giurisdizioni cooperative. Cosa consigliamo alle PMI italiane nel 2025 Noi di impresa.biz stiamo accompagnando le PMI italiane verso un nuovo modello di fiscalità internazionale, basato su legalità, sostanza e pianificazione. Ecco le prime azioni che suggeriamo: -Verificare la compliance delle strutture estere già esistenti, valutando rischi e opportunità. -Rivedere la documentazione fiscale, in particolare le politiche di transfer pricing. -Costruire nuove strutture con un approccio “BEPS-proof”, ossia solide dal punto di vista della sostanza economica e della coerenza fiscale. 📌 La tua PMI è pronta per il nuovo scenario fiscale internazionale? Contattaci per una consulenza: possiamo aiutarti a trasformare un obbligo in un vantaggio competitivo. #BEPS2025 #BEPS2 #FiscalitàInternazionale #PMIAllEstero #ImposteMinimeGlobali #TransferPricing #Internazionalizzazione #ImpresaBiz #PianificazioneFiscale #ComplianceFiscale
    0 Commenti 0 Condivisioni 603 Viste 0 Recensioni
  • Onboarding efficace: come integrare nuovi collaboratori in modo smart
    Assumere una nuova risorsa è solo l’inizio. Il vero successo si gioca nei primi giorni, settimane e mesi: è lì che si decide se un collaboratore si sentirà parte del progetto o rimarrà un estraneo (magari pronto ad andarsene alla prima occasione).

    Noi di Impresa.biz crediamo che un buon onboarding non sia un lusso da multinazionali, ma una leva concreta per tutte le imprese, anche le più piccole. È il modo per risparmiare tempo, evitare errori, costruire fiducia e far crescere davvero il tuo team.

    Ecco come farlo in modo smart, sostenibile e umano.

    Cos’è (davvero) l’onboarding?
    È il processo di inserimento e accompagnamento di un nuovo collaboratore: non solo una checklist tecnica, ma un’esperienza strutturata che permette alla persona di integrarsi, imparare, contribuire e sentirsi parte del progetto.

    Un onboarding efficace deve rispondere a 3 bisogni fondamentali:
    -Capire il contesto (valori, visione, regole)
    -Imparare a fare (strumenti, processi, responsabilità)
    -Sentirsi parte del team (relazioni, comunicazione, cultura aziendale)

    Perché è così importante (anche in una PMI o per un freelance)?
    Riduce il turnover: i primi 90 giorni sono decisivi. Un’esperienza disorganizzata può scoraggiare anche il talento migliore.
    Accelera l’autonomia: meno tempo sprecato in domande ripetitive, più produttività.
    Costruisce fiducia: se una persona si sente accolta e valorizzata, sarà più motivata.
    Fa crescere l’impresa: ogni nuova risorsa ben integrata diventa moltiplicatore di valore.

    I 5 pilastri di un onboarding smart
    1. Prepara l’ingresso
    Anche prima del primo giorno, puoi creare un “effetto accoglienza”. Alcune idee:
    -Invia un welcome kit (digitale o fisico)
    -Crea una breve guida “Chi siamo e come lavoriamo”
    -Prepara l’account email, l’accesso agli strumenti, un messaggio di benvenuto dal team

    2. Dedica un percorso chiaro (anche semplice)
    -Non serve un portale e-learning. Bastano:
    -Un documento o video introduttivo
    -Un calendario delle prime 2 settimane
    -Una mappa delle attività e strumenti (anche su Notion, Trello, Google Drive)
    Tip: registra 3-4 mini tutorial interni da riutilizzare con ogni nuovo arrivo.

    3. Coinvolgi subito il team
    -Evita che il nuovo arrivo si senta “parcheggiato”. Organizza:
    -Un mini tour (anche virtuale)
    -Una call o caffè informale con il team
    -Un piccolo progetto iniziale (guidato), per farlo entrare nel flusso operativo

    4. Nomina un buddy
    Anche nelle microimprese, avere una figura di riferimento (diversa dal capo diretto) aiuta tantissimo. Il buddy:
    -Risponde a dubbi operativi e culturali
    -Trasmette i non detti (ritmi, strumenti, abitudini)
    -Rende l’inserimento più fluido e umano

    5. Monitora e ascolta
    Non abbandonare il collaboratore dopo la prima settimana. Prevedi momenti di check:
    -Dopo 7 giorni
    -Dopo 30 giorni
    -Dopo 90 giorni

    Fai domande semplici:
    -“Hai tutto quello che ti serve?”
    -“Cosa ti ha aiutato di più finora?”
    -“Cosa ti è mancato?”

    Strumenti smart (e low budget) per l’onboarding
    -Notion / Trello / Google Sites → per creare una wiki interna o un hub informativo
    -Loom / Canva Video / Zoom → per creare contenuti di benvenuto in modo rapido
    -Slack / Discord / WhatsApp Business → per creare canali di comunicazione agili
    -Calendly / Google Calendar → per fissare check-in e momenti di confronto

    Bonus: onboarding anche per collaboratori freelance
    L’onboarding non è solo per dipendenti. Se lavori con freelance, creator o collaboratori esterni, dedica tempo a condividere strumenti, aspettative e cultura. Anche un semplice documento di benvenuto può fare la differenza.

    Un onboarding efficace è molto più che “spiegare cosa fare”: è costruire un ponte tra l’impresa e la persona, gettando le basi per collaborazione, motivazione e risultati duraturi.

    E non servono risorse enormi: basta un po’ di metodo, empatia e organizzazione.

    Noi di Impresa.biz siamo convinti che il primo giorno di lavoro (e i successivi) siano un investimento. E che ogni impresa, anche la più piccola, possa fare onboarding in modo smart.

    #OnboardingSmart #GestioneTeam #ImpresaAgile #PMI #CulturaAziendale #ImpresaBiz #LavoroFlessibile
    Onboarding efficace: come integrare nuovi collaboratori in modo smart Assumere una nuova risorsa è solo l’inizio. Il vero successo si gioca nei primi giorni, settimane e mesi: è lì che si decide se un collaboratore si sentirà parte del progetto o rimarrà un estraneo (magari pronto ad andarsene alla prima occasione). Noi di Impresa.biz crediamo che un buon onboarding non sia un lusso da multinazionali, ma una leva concreta per tutte le imprese, anche le più piccole. È il modo per risparmiare tempo, evitare errori, costruire fiducia e far crescere davvero il tuo team. Ecco come farlo in modo smart, sostenibile e umano. Cos’è (davvero) l’onboarding? È il processo di inserimento e accompagnamento di un nuovo collaboratore: non solo una checklist tecnica, ma un’esperienza strutturata che permette alla persona di integrarsi, imparare, contribuire e sentirsi parte del progetto. Un onboarding efficace deve rispondere a 3 bisogni fondamentali: -Capire il contesto (valori, visione, regole) -Imparare a fare (strumenti, processi, responsabilità) -Sentirsi parte del team (relazioni, comunicazione, cultura aziendale) Perché è così importante (anche in una PMI o per un freelance)? 📉 Riduce il turnover: i primi 90 giorni sono decisivi. Un’esperienza disorganizzata può scoraggiare anche il talento migliore. 🧠 Accelera l’autonomia: meno tempo sprecato in domande ripetitive, più produttività. 💬 Costruisce fiducia: se una persona si sente accolta e valorizzata, sarà più motivata. 📈 Fa crescere l’impresa: ogni nuova risorsa ben integrata diventa moltiplicatore di valore. I 5 pilastri di un onboarding smart ✅ 1. Prepara l’ingresso Anche prima del primo giorno, puoi creare un “effetto accoglienza”. Alcune idee: -Invia un welcome kit (digitale o fisico) -Crea una breve guida “Chi siamo e come lavoriamo” -Prepara l’account email, l’accesso agli strumenti, un messaggio di benvenuto dal team ✅ 2. Dedica un percorso chiaro (anche semplice) -Non serve un portale e-learning. Bastano: -Un documento o video introduttivo -Un calendario delle prime 2 settimane -Una mappa delle attività e strumenti (anche su Notion, Trello, Google Drive) 📌 Tip: registra 3-4 mini tutorial interni da riutilizzare con ogni nuovo arrivo. ✅ 3. Coinvolgi subito il team -Evita che il nuovo arrivo si senta “parcheggiato”. Organizza: -Un mini tour (anche virtuale) -Una call o caffè informale con il team -Un piccolo progetto iniziale (guidato), per farlo entrare nel flusso operativo ✅ 4. Nomina un buddy Anche nelle microimprese, avere una figura di riferimento (diversa dal capo diretto) aiuta tantissimo. Il buddy: -Risponde a dubbi operativi e culturali -Trasmette i non detti (ritmi, strumenti, abitudini) -Rende l’inserimento più fluido e umano ✅ 5. Monitora e ascolta Non abbandonare il collaboratore dopo la prima settimana. Prevedi momenti di check: -Dopo 7 giorni -Dopo 30 giorni -Dopo 90 giorni Fai domande semplici: -“Hai tutto quello che ti serve?” -“Cosa ti ha aiutato di più finora?” -“Cosa ti è mancato?” Strumenti smart (e low budget) per l’onboarding -Notion / Trello / Google Sites → per creare una wiki interna o un hub informativo -Loom / Canva Video / Zoom → per creare contenuti di benvenuto in modo rapido -Slack / Discord / WhatsApp Business → per creare canali di comunicazione agili -Calendly / Google Calendar → per fissare check-in e momenti di confronto Bonus: onboarding anche per collaboratori freelance L’onboarding non è solo per dipendenti. Se lavori con freelance, creator o collaboratori esterni, dedica tempo a condividere strumenti, aspettative e cultura. Anche un semplice documento di benvenuto può fare la differenza. Un onboarding efficace è molto più che “spiegare cosa fare”: è costruire un ponte tra l’impresa e la persona, gettando le basi per collaborazione, motivazione e risultati duraturi. E non servono risorse enormi: basta un po’ di metodo, empatia e organizzazione. Noi di Impresa.biz siamo convinti che il primo giorno di lavoro (e i successivi) siano un investimento. E che ogni impresa, anche la più piccola, possa fare onboarding in modo smart. #OnboardingSmart #GestioneTeam #ImpresaAgile #PMI #CulturaAziendale #ImpresaBiz #LavoroFlessibile
    0 Commenti 0 Condivisioni 334 Viste 0 Recensioni
  • Open Innovation: Collaborare con Startup e Università
    L’innovazione non è più un processo chiuso: ecco come aprirsi a nuove idee per crescere davvero.

    Quando pensiamo all’innovazione, spesso immaginiamo reparti R&D, lunghe fasi di progettazione interna e team chiusi che lavorano in silenzio. Ma i tempi sono cambiati. Oggi l’innovazione più efficace nasce dalla contaminazione di competenze, approcci e visioni diverse.

    È qui che entra in gioco il concetto di Open Innovation, un modello che abbiamo imparato ad apprezzare e promuovere anche in Impresa.biz, perché consente alle aziende – grandi o piccole – di collaborare con startup, università, centri di ricerca e freelance, accelerando lo sviluppo di idee e soluzioni concrete.

    Che cos’è l’Open Innovation?
    L’Open Innovation è un modello secondo cui le aziende non innovano più solo "dall'interno", ma aprono i propri processi per integrare idee, tecnologie e competenze che arrivano dall’esterno.

    Significa, in pratica, collaborare con realtà più agili o specializzate, come startup o università, per risolvere problemi, sviluppare prodotti o testare nuovi modelli di business. È un modo per ridurre tempi e costi di sviluppo, accedere a competenze all’avanguardia e restare competitivi.

    Perché vale la pena aprirsi?
    Nel nostro lavoro con PMI, freelance e startup, abbiamo visto come anche le realtà più tradizionali possano trarre grandi benefici da un approccio aperto all’innovazione. Ecco alcuni vantaggi concreti:

    -Accesso rapido a tecnologie emergenti senza doverle sviluppare da zero.
    -Collaborazione con giovani talenti (ricercatori, studenti, founder) pieni di idee e voglia di fare.
    -Sperimentazione più veloce grazie alla flessibilità delle startup.
    -Condivisione del rischio: si può co-creare un progetto, dividendo oneri e opportunità.

    Come collaborare con le startup
    Le startup sono, per natura, veloci, focalizzate e disposte a sperimentare. Per un’azienda già strutturata, avviare collaborazioni con startup può essere un modo per testare rapidamente nuovi prodotti o servizi, esplorare mercati diversi o migliorare processi interni.

    Ecco alcune modalità operative che consigliamo:

    -Call4Startup: lancia una call pubblica per raccogliere soluzioni innovative su un tema specifico.
    -Programmi di incubazione o accelerazione aziendale: ospita o supporta startup in linea con i tuoi obiettivi.
    -Partnership verticali: lavora fianco a fianco con una startup su un progetto condiviso, come una POC (proof of concept).

    Come coinvolgere le università
    Le università sono un altro alleato strategico. Offrono accesso a ricerca avanzata, laboratori, stage, tesi applicate, e collaborazioni su bandi nazionali ed europei. E spesso... molto più di quanto ci immaginiamo!

    Alcune idee pratiche:
    -Collaborazioni per tesi di laurea e stage: ottimo modo per iniziare con costi contenuti.
    -Convenzioni con dipartimenti scientifici o economici: per avere un supporto continuativo.
    -Partecipazione a progetti di ricerca applicata: specialmente nell’ambito dell’innovazione sostenibile, digitale, sociale.
    -Open Lab e Living Lab: progetti dove imprese e atenei co-progettano soluzioni reali da testare sul campo.

    Esempi reali? Ne vediamo tanti
    -Aziende tradizionali che digitalizzano i loro processi grazie a una collaborazione con una startup SaaS.
    -PMI che, tramite un’università, sviluppano prototipi di prodotto a basso costo prima di passare alla produzione.
    -Brand che testano campagne di marketing sperimentali con il supporto di studenti di comunicazione.
    -Startup che crescono grazie al know-how e alle infrastrutture di aziende più grandi.

    In Impresa.biz, incoraggiamo questo tipo di sinergie e spesso facciamo da ponte tra realtà che potrebbero crescere insieme ma non si conoscono ancora.

    Come iniziare con l’Open Innovation
    Se vuoi iniziare a innovare in modo aperto, ti consigliamo di:
    -Identificare le tue sfide: Quali sono i problemi o le aree in cui hai bisogno di un punto di vista esterno?
    -Mappare le opportunità intorno a te: Università locali, startup nella tua area, incubatori, coworking.
    -Proporre collaborazioni semplici e veloci: Inizia con un progetto pilota, un test, un workshop.
    -Costruire una cultura della condivisione: Non temere di aprirti: l’innovazione nasce dal confronto.

    L’Open Innovation non è solo per le multinazionali. Anche una piccola impresa, un libero professionista o una PMI possono beneficiare enormemente dalla collaborazione esterna, senza necessariamente fare grandi investimenti.

    In un mondo che cambia così velocemente, la vera forza sta nell’essere connessi: alle idee, alle persone, ai talenti. In Impresa.biz lo vediamo ogni giorno: quando le competenze si incontrano, l’innovazione si accelera.

    #OpenInnovation #StartupCollaboration #InnovazioneAperta #UniversitàEAziende #PMIInnovative #ImpresaBiz #CoCreazione #InnovazioneAccessibile

    Open Innovation: Collaborare con Startup e Università L’innovazione non è più un processo chiuso: ecco come aprirsi a nuove idee per crescere davvero. Quando pensiamo all’innovazione, spesso immaginiamo reparti R&D, lunghe fasi di progettazione interna e team chiusi che lavorano in silenzio. Ma i tempi sono cambiati. Oggi l’innovazione più efficace nasce dalla contaminazione di competenze, approcci e visioni diverse. È qui che entra in gioco il concetto di Open Innovation, un modello che abbiamo imparato ad apprezzare e promuovere anche in Impresa.biz, perché consente alle aziende – grandi o piccole – di collaborare con startup, università, centri di ricerca e freelance, accelerando lo sviluppo di idee e soluzioni concrete. Che cos’è l’Open Innovation? L’Open Innovation è un modello secondo cui le aziende non innovano più solo "dall'interno", ma aprono i propri processi per integrare idee, tecnologie e competenze che arrivano dall’esterno. Significa, in pratica, collaborare con realtà più agili o specializzate, come startup o università, per risolvere problemi, sviluppare prodotti o testare nuovi modelli di business. È un modo per ridurre tempi e costi di sviluppo, accedere a competenze all’avanguardia e restare competitivi. Perché vale la pena aprirsi? Nel nostro lavoro con PMI, freelance e startup, abbiamo visto come anche le realtà più tradizionali possano trarre grandi benefici da un approccio aperto all’innovazione. Ecco alcuni vantaggi concreti: -Accesso rapido a tecnologie emergenti senza doverle sviluppare da zero. -Collaborazione con giovani talenti (ricercatori, studenti, founder) pieni di idee e voglia di fare. -Sperimentazione più veloce grazie alla flessibilità delle startup. -Condivisione del rischio: si può co-creare un progetto, dividendo oneri e opportunità. Come collaborare con le startup Le startup sono, per natura, veloci, focalizzate e disposte a sperimentare. Per un’azienda già strutturata, avviare collaborazioni con startup può essere un modo per testare rapidamente nuovi prodotti o servizi, esplorare mercati diversi o migliorare processi interni. Ecco alcune modalità operative che consigliamo: -Call4Startup: lancia una call pubblica per raccogliere soluzioni innovative su un tema specifico. -Programmi di incubazione o accelerazione aziendale: ospita o supporta startup in linea con i tuoi obiettivi. -Partnership verticali: lavora fianco a fianco con una startup su un progetto condiviso, come una POC (proof of concept). Come coinvolgere le università Le università sono un altro alleato strategico. Offrono accesso a ricerca avanzata, laboratori, stage, tesi applicate, e collaborazioni su bandi nazionali ed europei. E spesso... molto più di quanto ci immaginiamo! 💡 Alcune idee pratiche: -Collaborazioni per tesi di laurea e stage: ottimo modo per iniziare con costi contenuti. -Convenzioni con dipartimenti scientifici o economici: per avere un supporto continuativo. -Partecipazione a progetti di ricerca applicata: specialmente nell’ambito dell’innovazione sostenibile, digitale, sociale. -Open Lab e Living Lab: progetti dove imprese e atenei co-progettano soluzioni reali da testare sul campo. Esempi reali? Ne vediamo tanti -Aziende tradizionali che digitalizzano i loro processi grazie a una collaborazione con una startup SaaS. -PMI che, tramite un’università, sviluppano prototipi di prodotto a basso costo prima di passare alla produzione. -Brand che testano campagne di marketing sperimentali con il supporto di studenti di comunicazione. -Startup che crescono grazie al know-how e alle infrastrutture di aziende più grandi. In Impresa.biz, incoraggiamo questo tipo di sinergie e spesso facciamo da ponte tra realtà che potrebbero crescere insieme ma non si conoscono ancora. Come iniziare con l’Open Innovation Se vuoi iniziare a innovare in modo aperto, ti consigliamo di: -Identificare le tue sfide: Quali sono i problemi o le aree in cui hai bisogno di un punto di vista esterno? -Mappare le opportunità intorno a te: Università locali, startup nella tua area, incubatori, coworking. -Proporre collaborazioni semplici e veloci: Inizia con un progetto pilota, un test, un workshop. -Costruire una cultura della condivisione: Non temere di aprirti: l’innovazione nasce dal confronto. L’Open Innovation non è solo per le multinazionali. Anche una piccola impresa, un libero professionista o una PMI possono beneficiare enormemente dalla collaborazione esterna, senza necessariamente fare grandi investimenti. In un mondo che cambia così velocemente, la vera forza sta nell’essere connessi: alle idee, alle persone, ai talenti. In Impresa.biz lo vediamo ogni giorno: quando le competenze si incontrano, l’innovazione si accelera. #OpenInnovation #StartupCollaboration #InnovazioneAperta #UniversitàEAziende #PMIInnovative #ImpresaBiz #CoCreazione #InnovazioneAccessibile
    0 Commenti 0 Condivisioni 546 Viste 0 Recensioni
Altri risultati
Sponsorizzato
adv cerca