• Influencer sì, ma con Partita IVA: come mi sono organizzata legalmente e fiscalmente”
    (Guida pratica per creator che vogliono mettersi in regola e dormire sonni tranquilli)

    Non vivo “solo” di foto, reel e codici sconto: dietro la mia attività c’è un’organizzazione precisa — e anche una Partita IVA.

    Oggi voglio raccontarti come mi sono inquadrata fiscalmente, cosa ho imparato e quali consigli darei a chi sta per trasformare la propria presenza online in un vero lavoro.

    Spoiler: è più semplice (e meno spaventoso) di quanto sembra, se sai da dove partire.

    Perché ho aperto la Partita IVA
    Quando ho cominciato a ricevere le prime collaborazioni pagate, mi sono trovata davanti alla classica domanda:
    “Posso farmi pagare senza partita IVA?”

    All’inizio, sì, si può usare la prestazione occasionale (entro 5.000 € lordi/anno).
    Ma appena ho superato quella soglia, o ho iniziato a collaborare con brand in modo ricorrente, è stato necessario aprire la P. IVA.

    Farlo è stato un passaggio importante: mi ha permesso di lavorare in modo professionale, emettere fatture, avere accesso a clienti più seri e, soprattutto, sentirmi davvero un’imprenditrice digitale.

    Che inquadramento ho scelto
    Come influencer, la forma più semplice e adatta a chi inizia è:

    → Lavoratore autonomo con regime forfettario
    Ecco perché:
    -Aliquota agevolata al 5% (per i primi 5 anni) se rispetti alcuni requisiti
    -Semplificazioni contabili (niente IVA, niente bilancio)
    -Adatto a chi fattura fino a 85.000 €/anno
    -Contributi INPS solo se iscrittə alla Gestione Separata (come nel mio caso)

    Io ho aperto con codice ATECO 73.11.02 (“Conduzione di campagne di marketing e altri servizi pubblicitari”), che è il più usato per chi fa influencer marketing o content creation.

    Come mi sono organizzata
    1. Mi sono affidata a un commercialista esperto di digitale
    Fondamentale: non tutti i consulenti conoscono il nostro mondo! Io ho trovato uno studio abituato a lavorare con freelance, creator e startup.

    2. Uso strumenti digitali per semplificare tutto
    -Fatturazione elettronica: con servizi semplici come Fiscozen, Taxfix, Aruba o piattaforme integrate
    -Contabilità light: carico tutto online, con promemoria per scadenze e versamenti
    -Agenda fiscale: ho un file dove tengo tutto segnato (fatture emesse, spese deducibili, date importanti)

    3. Tengo traccia anche dei prodotti ricevuti gratuitamente
    Sì, se ricevi beni in cambio di visibilità, valgono come compenso e vanno dichiarati. È un punto che molti ignorano ma che il fisco considera importante.

    Errori che ho evitato (o imparato a correggere)
    -Pensare “tanto sono solo contenuti su Instagram” → No, è un’attività economica vera e propria
    -Fatturare a brand esteri senza conoscere le regole → Serve iscrizione al VIES e codice destinatario per l’estero
    -Non mettere da parte i soldi per tasse e INPS → Ora accantono ogni mese circa il 25–30% di ciò che incasso

    I vantaggi (oltre alla tranquillità fiscale)
    -Posso collaborare con aziende più strutturate
    -Accedo a bandi, finanziamenti e strumenti per partite IVA
    -Mi sento più credibile e autorevole nel mio settore
    -Ho separato vita privata e professionale in modo più chiaro

    Aprire la Partita IVA come influencer o creator è un passo necessario se vuoi crescere davvero nel digitale.
    Non devi sapere tutto da subito, ma è fondamentale essere in regola, avere un commercialista di fiducia e gestire la tua attività come un business vero — perché lo è.

    Se ti serve una guida su come partire, quali codici ATECO valutare, o se vuoi capire se il regime forfettario fa per te, scrivimi: ci sono passata anch’io.

    #PartitaIVA #CreatorBusiness #InfluencerProfessionista #RegimeForfettario #MarketingDigitale #FreelanceLife #ImpresaDigitale #ImpresaBiz

    Influencer sì, ma con Partita IVA: come mi sono organizzata legalmente e fiscalmente” (Guida pratica per creator che vogliono mettersi in regola e dormire sonni tranquilli) Non vivo “solo” di foto, reel e codici sconto: dietro la mia attività c’è un’organizzazione precisa — e anche una Partita IVA. Oggi voglio raccontarti come mi sono inquadrata fiscalmente, cosa ho imparato e quali consigli darei a chi sta per trasformare la propria presenza online in un vero lavoro. Spoiler: è più semplice (e meno spaventoso) di quanto sembra, se sai da dove partire. 💼 Perché ho aperto la Partita IVA Quando ho cominciato a ricevere le prime collaborazioni pagate, mi sono trovata davanti alla classica domanda: “Posso farmi pagare senza partita IVA?” All’inizio, sì, si può usare la prestazione occasionale (entro 5.000 € lordi/anno). Ma appena ho superato quella soglia, o ho iniziato a collaborare con brand in modo ricorrente, è stato necessario aprire la P. IVA. 👉 Farlo è stato un passaggio importante: mi ha permesso di lavorare in modo professionale, emettere fatture, avere accesso a clienti più seri e, soprattutto, sentirmi davvero un’imprenditrice digitale. 📝 Che inquadramento ho scelto Come influencer, la forma più semplice e adatta a chi inizia è: → Lavoratore autonomo con regime forfettario Ecco perché: -Aliquota agevolata al 5% (per i primi 5 anni) se rispetti alcuni requisiti -Semplificazioni contabili (niente IVA, niente bilancio) -Adatto a chi fattura fino a 85.000 €/anno -Contributi INPS solo se iscrittə alla Gestione Separata (come nel mio caso) 💡 Io ho aperto con codice ATECO 73.11.02 (“Conduzione di campagne di marketing e altri servizi pubblicitari”), che è il più usato per chi fa influencer marketing o content creation. 👩‍💻 Come mi sono organizzata 1. Mi sono affidata a un commercialista esperto di digitale Fondamentale: non tutti i consulenti conoscono il nostro mondo! Io ho trovato uno studio abituato a lavorare con freelance, creator e startup. 2. Uso strumenti digitali per semplificare tutto -Fatturazione elettronica: con servizi semplici come Fiscozen, Taxfix, Aruba o piattaforme integrate -Contabilità light: carico tutto online, con promemoria per scadenze e versamenti -Agenda fiscale: ho un file dove tengo tutto segnato (fatture emesse, spese deducibili, date importanti) 3. Tengo traccia anche dei prodotti ricevuti gratuitamente Sì, se ricevi beni in cambio di visibilità, valgono come compenso e vanno dichiarati. È un punto che molti ignorano ma che il fisco considera importante. ⚠️ Errori che ho evitato (o imparato a correggere) -Pensare “tanto sono solo contenuti su Instagram” → No, è un’attività economica vera e propria -Fatturare a brand esteri senza conoscere le regole → Serve iscrizione al VIES e codice destinatario per l’estero -Non mettere da parte i soldi per tasse e INPS → Ora accantono ogni mese circa il 25–30% di ciò che incasso ✨ I vantaggi (oltre alla tranquillità fiscale) -Posso collaborare con aziende più strutturate -Accedo a bandi, finanziamenti e strumenti per partite IVA -Mi sento più credibile e autorevole nel mio settore -Ho separato vita privata e professionale in modo più chiaro 🔚Aprire la Partita IVA come influencer o creator è un passo necessario se vuoi crescere davvero nel digitale. Non devi sapere tutto da subito, ma è fondamentale essere in regola, avere un commercialista di fiducia e gestire la tua attività come un business vero — perché lo è. Se ti serve una guida su come partire, quali codici ATECO valutare, o se vuoi capire se il regime forfettario fa per te, scrivimi: ci sono passata anch’io. #PartitaIVA #CreatorBusiness #InfluencerProfessionista #RegimeForfettario #MarketingDigitale #FreelanceLife #ImpresaDigitale #ImpresaBiz
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  • Marketplace e fisco: chi paga le tasse e come

    Quando ho iniziato a vendere su marketplace come Amazon, eBay o altri, una delle prime domande che mi sono posto è stata: chi deve pagare le tasse? La risposta non è sempre scontata, e per evitare problemi con il fisco ho deciso di informarmi bene e organizzarmi al meglio.

    Venditore o marketplace: chi è responsabile?
    In generale, la responsabilità fiscale ricade sul venditore. Questo significa che, anche se vendo tramite una piattaforma di terze parti, sono io a dover dichiarare i ricavi e pagare le imposte sui redditi e l’IVA. Il marketplace, invece, agisce da intermediario e fornisce solo il canale di vendita.

    Tuttavia, con l’introduzione del Marketplace Facilitator, in alcuni Paesi e situazioni il marketplace può essere considerato responsabile della raccolta e del versamento dell’IVA sulle vendite effettuate.

    Come gestisco l’IVA su marketplace
    Nel mio caso, la situazione più comune è questa:
    -Per le vendite in Italia, applico l’IVA italiana e la versamento regolarmente.
    -Per le vendite intra-UE a consumatori privati, se supero la soglia di 10.000 euro, uso il regime OSS per semplificare la gestione dell’IVA.
    -Per le vendite a clienti extra-UE, le esportazioni sono generalmente esenti da IVA, ma devono essere documentate correttamente.
    Il marketplace, in alcuni casi, può emettere fattura o fornire documenti riepilogativi, ma è mia cura mantenere una contabilità precisa.

    Dichiarazioni e adempimenti fiscali
    Come venditore su marketplace, devo:
    Tenere traccia delle vendite e delle commissioni addebitate dal marketplace,
    -Emissione di fatture se richiesta (alcuni marketplace lo fanno automaticamente),
    -Inserire i dati nei registri IVA e dichiarare i redditi in sede fiscale.
    Inoltre, è importante conservare tutta la documentazione per eventuali controlli.

    Le novità per il 2025: la digitalizzazione fiscale
    Dal 2025, in Italia si prevede l’estensione dell’obbligo di fatturazione elettronica anche per le vendite tramite marketplace e piattaforme digitali, con controlli più serrati e tracciabilità completa.

    Sto già adeguando il mio sistema gestionale per non rischiare sanzioni e per rendere tutto più trasparente.

    Conclusione
    Vendere su marketplace apre grandi opportunità, ma richiede attenzione anche agli aspetti fiscali. La regola d’oro per me è stata informarmi, organizzarmi e usare strumenti digitali per gestire correttamente le tasse. Così posso concentrarmi sulle vendite, senza sorprese.

    #Marketplace #FiscoEcommerce #TasseVenditeOnline #IVA #MarketplaceFacilitator #FiscalitàDigitale #EcommerceItaly #GestioneFiscale #VendereOnline #ImpresaDigitale
    Marketplace e fisco: chi paga le tasse e come Quando ho iniziato a vendere su marketplace come Amazon, eBay o altri, una delle prime domande che mi sono posto è stata: chi deve pagare le tasse? La risposta non è sempre scontata, e per evitare problemi con il fisco ho deciso di informarmi bene e organizzarmi al meglio. Venditore o marketplace: chi è responsabile? In generale, la responsabilità fiscale ricade sul venditore. Questo significa che, anche se vendo tramite una piattaforma di terze parti, sono io a dover dichiarare i ricavi e pagare le imposte sui redditi e l’IVA. Il marketplace, invece, agisce da intermediario e fornisce solo il canale di vendita. Tuttavia, con l’introduzione del Marketplace Facilitator, in alcuni Paesi e situazioni il marketplace può essere considerato responsabile della raccolta e del versamento dell’IVA sulle vendite effettuate. Come gestisco l’IVA su marketplace Nel mio caso, la situazione più comune è questa: -Per le vendite in Italia, applico l’IVA italiana e la versamento regolarmente. -Per le vendite intra-UE a consumatori privati, se supero la soglia di 10.000 euro, uso il regime OSS per semplificare la gestione dell’IVA. -Per le vendite a clienti extra-UE, le esportazioni sono generalmente esenti da IVA, ma devono essere documentate correttamente. Il marketplace, in alcuni casi, può emettere fattura o fornire documenti riepilogativi, ma è mia cura mantenere una contabilità precisa. Dichiarazioni e adempimenti fiscali Come venditore su marketplace, devo: Tenere traccia delle vendite e delle commissioni addebitate dal marketplace, -Emissione di fatture se richiesta (alcuni marketplace lo fanno automaticamente), -Inserire i dati nei registri IVA e dichiarare i redditi in sede fiscale. Inoltre, è importante conservare tutta la documentazione per eventuali controlli. Le novità per il 2025: la digitalizzazione fiscale Dal 2025, in Italia si prevede l’estensione dell’obbligo di fatturazione elettronica anche per le vendite tramite marketplace e piattaforme digitali, con controlli più serrati e tracciabilità completa. Sto già adeguando il mio sistema gestionale per non rischiare sanzioni e per rendere tutto più trasparente. Conclusione Vendere su marketplace apre grandi opportunità, ma richiede attenzione anche agli aspetti fiscali. La regola d’oro per me è stata informarmi, organizzarmi e usare strumenti digitali per gestire correttamente le tasse. Così posso concentrarmi sulle vendite, senza sorprese. #Marketplace #FiscoEcommerce #TasseVenditeOnline #IVA #MarketplaceFacilitator #FiscalitàDigitale #EcommerceItaly #GestioneFiscale #VendereOnline #ImpresaDigitale
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  • Vendite in UE: come gestire l’IVA con il sistema OSS

    Quando ho iniziato a vendere i miei prodotti anche fuori dall’Italia, in altri Paesi dell’Unione Europea, ho subito capito che la gestione dell’IVA intracomunitaria poteva diventare un vero incubo. Fortunatamente, il sistema OSS (One Stop Shop) è venuto in mio soccorso. Oggi ti racconto come lo uso per semplificare la burocrazia e restare in regola con le normative UE.

    Cosa cambia con il sistema OSS?
    Prima del 2021, chi vendeva a consumatori finali (B2C) in altri Paesi UE doveva registrarsi fiscalmente in ciascun Paese oltre certe soglie. Un procedimento complicato e costoso. Ora, grazie al regime OSS, posso versare l’IVA di tutte le vendite UE in un unico portale, senza aprire partite IVA estere.

    Come ho aderito al regime OSS
    Mi sono registrato tramite il portale dell’Agenzia delle Entrate italiana, nella sezione dedicata all’OSS. Una volta attivato, posso:
    -Dichiarare tutte le vendite UE in un’unica dichiarazione trimestrale.
    -Versare l’IVA raccolta direttamente allo Stato italiano, che poi la redistribuisce agli altri Stati membri.
    -È un sistema centralizzato che riduce costi, tempi e rischi di errori.

    Quando è obbligatorio usare l’OSS?
    Ho iniziato a usarlo quando ho superato la soglia dei 10.000 euro annui di vendite totali B2C in UE (escluse quelle in Italia). Oltre questa soglia, bisogna applicare l’aliquota IVA del Paese del cliente, e il regime OSS è lo strumento più efficiente per farlo in modo corretto.

    Come gestisco l’IVA in pratica
    -Il mio sito e-commerce rileva il Paese del cliente e applica automaticamente l’aliquota IVA corretta.
    -Ogni trimestre preparo una dichiarazione OSS, separata da quella IVA nazionale.
    -Uso software compatibili o plugin e-commerce (come WooCommerce, Shopify Plus, ecc.) per generare i report dettagliati.

    Attenzione a questi punti
    -L’OSS vale solo per vendite a privati (B2C), non per aziende con partita IVA (B2B).
    -Serve conservare le prove del Paese del cliente (es. indirizzo IP, luogo di spedizione).
    -Anche con OSS attivo, continuo a fare la dichiarazione IVA ordinaria in Italia per le vendite nazionali.

    Il sistema OSS mi ha permesso di vendere con serenità in tutta l’UE, rispettando le regole IVA senza dovermi registrare in ogni singolo Stato. Se anche tu stai vendendo o vuoi iniziare a vendere online in Europa, ti consiglio di valutarlo seriamente: è uno strumento pensato per semplificare la vita agli e-commerce come il mio.

    #EcommerceEuropeo #SistemaOSS #IVAUE #VenditeOnline #FiscoDigitale #EcommerceInternazionale #OneStopShop #GestioneIVA #FiscalitàDigitale #ImpresaDigitale
    Vendite in UE: come gestire l’IVA con il sistema OSS Quando ho iniziato a vendere i miei prodotti anche fuori dall’Italia, in altri Paesi dell’Unione Europea, ho subito capito che la gestione dell’IVA intracomunitaria poteva diventare un vero incubo. Fortunatamente, il sistema OSS (One Stop Shop) è venuto in mio soccorso. Oggi ti racconto come lo uso per semplificare la burocrazia e restare in regola con le normative UE. Cosa cambia con il sistema OSS? Prima del 2021, chi vendeva a consumatori finali (B2C) in altri Paesi UE doveva registrarsi fiscalmente in ciascun Paese oltre certe soglie. Un procedimento complicato e costoso. Ora, grazie al regime OSS, posso versare l’IVA di tutte le vendite UE in un unico portale, senza aprire partite IVA estere. Come ho aderito al regime OSS Mi sono registrato tramite il portale dell’Agenzia delle Entrate italiana, nella sezione dedicata all’OSS. Una volta attivato, posso: -Dichiarare tutte le vendite UE in un’unica dichiarazione trimestrale. -Versare l’IVA raccolta direttamente allo Stato italiano, che poi la redistribuisce agli altri Stati membri. -È un sistema centralizzato che riduce costi, tempi e rischi di errori. Quando è obbligatorio usare l’OSS? Ho iniziato a usarlo quando ho superato la soglia dei 10.000 euro annui di vendite totali B2C in UE (escluse quelle in Italia). Oltre questa soglia, bisogna applicare l’aliquota IVA del Paese del cliente, e il regime OSS è lo strumento più efficiente per farlo in modo corretto. Come gestisco l’IVA in pratica -Il mio sito e-commerce rileva il Paese del cliente e applica automaticamente l’aliquota IVA corretta. -Ogni trimestre preparo una dichiarazione OSS, separata da quella IVA nazionale. -Uso software compatibili o plugin e-commerce (come WooCommerce, Shopify Plus, ecc.) per generare i report dettagliati. Attenzione a questi punti -L’OSS vale solo per vendite a privati (B2C), non per aziende con partita IVA (B2B). -Serve conservare le prove del Paese del cliente (es. indirizzo IP, luogo di spedizione). -Anche con OSS attivo, continuo a fare la dichiarazione IVA ordinaria in Italia per le vendite nazionali. Il sistema OSS mi ha permesso di vendere con serenità in tutta l’UE, rispettando le regole IVA senza dovermi registrare in ogni singolo Stato. Se anche tu stai vendendo o vuoi iniziare a vendere online in Europa, ti consiglio di valutarlo seriamente: è uno strumento pensato per semplificare la vita agli e-commerce come il mio. #EcommerceEuropeo #SistemaOSS #IVAUE #VenditeOnline #FiscoDigitale #EcommerceInternazionale #OneStopShop #GestioneIVA #FiscalitàDigitale #ImpresaDigitale
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  • Leasing vs acquisto: cosa conviene per la tua azienda?

    Noi di Impresa.biz sappiamo quanto sia importante scegliere la modalità giusta per acquisire beni strumentali o attrezzature, una decisione che può avere un impatto significativo sulla gestione finanziaria e operativa dell’azienda. Quando si tratta di dotarsi di nuovi mezzi, spesso ci si trova davanti al dubbio: conviene meglio optare per un leasing o un acquisto diretto?

    Analizziamo insieme i pro e i contro di entrambe le soluzioni, per aiutarti a fare una scelta consapevole e adatta al tuo business.

    Acquisto diretto: vantaggi e svantaggi
    Vantaggi:
    -Proprietà immediata: Il bene diventa subito un patrimonio dell’azienda, con la possibilità di gestirlo liberamente e senza vincoli contrattuali.
    -Ammortamento fiscale: L’azienda può ammortizzare il costo del bene secondo le aliquote fiscali previste, ottenendo un beneficio fiscale nel tempo.
    -Nessun costo finanziario aggiuntivo: Non ci sono interessi o commissioni da pagare, a differenza del leasing.

    Svantaggi:
    -Impegno finanziario immediato: L’acquisto richiede un esborso di liquidità significativo, che può impattare sulla capacità di investimento e sulla gestione del capitale circolante.
    -Rischio di obsolescenza: Il bene diventa un costo fisso e può perdere valore rapidamente in mercati tecnologici o dinamici.

    Leasing: vantaggi e svantaggi
    Vantaggi:
    -Minore impatto sulla liquidità: I canoni di leasing si pagano nel tempo, permettendo una gestione più fluida della cassa aziendale.
    -Flessibilità: Al termine del contratto, l’azienda può decidere se riscattare il bene, restituirlo o sostituirlo con uno più moderno.
    -Benefici fiscali: I canoni di leasing sono deducibili fiscalmente in percentuali variabili, con un impatto positivo sul conto economico.
    -Aggiornamento tecnologico: Il leasing facilita il rinnovo frequente delle attrezzature, fondamentale in settori ad alta innovazione.

    Svantaggi:
    -Costo complessivo più elevato: Nel lungo periodo, il leasing può risultare più costoso rispetto all’acquisto, soprattutto se si decide di riscattare il bene.
    -Vincoli contrattuali: L’azienda è vincolata ai termini del contratto di leasing, che possono limitare alcune libertà di utilizzo o modifiche al bene.

    Qual è la scelta migliore?
    La risposta dipende da diversi fattori:
    -Situazione finanziaria: Se la liquidità è limitata o si preferisce mantenere riserve di capitale, il leasing può essere una scelta più sostenibile.
    -Tipo di bene: Per beni con rapida obsolescenza tecnologica, il leasing offre maggior flessibilità.
    -Orizzonte temporale: Se si prevede di utilizzare il bene a lungo termine senza necessità di sostituzioni frequenti, l’acquisto può essere più conveniente.
    -Obiettivi fiscali e gestionali: Valutare insieme a un consulente le implicazioni fiscali e contabili di entrambe le opzioni.

    Noi di Impresa.biz consigliamo sempre di analizzare attentamente il caso specifico, magari simulando costi e benefici di entrambe le soluzioni, per prendere una decisione informata che supporti la crescita e la stabilità dell’azienda.

    #ImpresaBiz #Leasing #AcquistoAziendale #GestioneFinanziaria #Investimenti #BeniStrumentali #PMI #ScelteStrategiche #Fisco #LiquiditàAziendale
    Leasing vs acquisto: cosa conviene per la tua azienda? Noi di Impresa.biz sappiamo quanto sia importante scegliere la modalità giusta per acquisire beni strumentali o attrezzature, una decisione che può avere un impatto significativo sulla gestione finanziaria e operativa dell’azienda. Quando si tratta di dotarsi di nuovi mezzi, spesso ci si trova davanti al dubbio: conviene meglio optare per un leasing o un acquisto diretto? Analizziamo insieme i pro e i contro di entrambe le soluzioni, per aiutarti a fare una scelta consapevole e adatta al tuo business. Acquisto diretto: vantaggi e svantaggi Vantaggi: -Proprietà immediata: Il bene diventa subito un patrimonio dell’azienda, con la possibilità di gestirlo liberamente e senza vincoli contrattuali. -Ammortamento fiscale: L’azienda può ammortizzare il costo del bene secondo le aliquote fiscali previste, ottenendo un beneficio fiscale nel tempo. -Nessun costo finanziario aggiuntivo: Non ci sono interessi o commissioni da pagare, a differenza del leasing. Svantaggi: -Impegno finanziario immediato: L’acquisto richiede un esborso di liquidità significativo, che può impattare sulla capacità di investimento e sulla gestione del capitale circolante. -Rischio di obsolescenza: Il bene diventa un costo fisso e può perdere valore rapidamente in mercati tecnologici o dinamici. Leasing: vantaggi e svantaggi Vantaggi: -Minore impatto sulla liquidità: I canoni di leasing si pagano nel tempo, permettendo una gestione più fluida della cassa aziendale. -Flessibilità: Al termine del contratto, l’azienda può decidere se riscattare il bene, restituirlo o sostituirlo con uno più moderno. -Benefici fiscali: I canoni di leasing sono deducibili fiscalmente in percentuali variabili, con un impatto positivo sul conto economico. -Aggiornamento tecnologico: Il leasing facilita il rinnovo frequente delle attrezzature, fondamentale in settori ad alta innovazione. Svantaggi: -Costo complessivo più elevato: Nel lungo periodo, il leasing può risultare più costoso rispetto all’acquisto, soprattutto se si decide di riscattare il bene. -Vincoli contrattuali: L’azienda è vincolata ai termini del contratto di leasing, che possono limitare alcune libertà di utilizzo o modifiche al bene. Qual è la scelta migliore? La risposta dipende da diversi fattori: -Situazione finanziaria: Se la liquidità è limitata o si preferisce mantenere riserve di capitale, il leasing può essere una scelta più sostenibile. -Tipo di bene: Per beni con rapida obsolescenza tecnologica, il leasing offre maggior flessibilità. -Orizzonte temporale: Se si prevede di utilizzare il bene a lungo termine senza necessità di sostituzioni frequenti, l’acquisto può essere più conveniente. -Obiettivi fiscali e gestionali: Valutare insieme a un consulente le implicazioni fiscali e contabili di entrambe le opzioni. Noi di Impresa.biz consigliamo sempre di analizzare attentamente il caso specifico, magari simulando costi e benefici di entrambe le soluzioni, per prendere una decisione informata che supporti la crescita e la stabilità dell’azienda. #ImpresaBiz #Leasing #AcquistoAziendale #GestioneFinanziaria #Investimenti #BeniStrumentali #PMI #ScelteStrategiche #Fisco #LiquiditàAziendale
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  • Credito d’imposta per investimenti in beni strumentali: come ottimizzare le opportunità fiscali

    Noi di Impresa.biz siamo consapevoli che, in un contesto economico in continua evoluzione, le imprese devono cogliere ogni opportunità per innovare e crescere. Una delle principali leve fiscali a disposizione è il credito d’imposta per investimenti in beni strumentali, introdotto per incentivare la trasformazione tecnologica e digitale dei processi produttivi.

    Cos’è il credito d’imposta per beni strumentali
    Il credito d’imposta è un’agevolazione fiscale riconosciuta alle imprese che effettuano investimenti in beni strumentali nuovi, materiali e immateriali, destinati a strutture produttive ubicate nel territorio dello Stato italiano. L’obiettivo è supportare l’innovazione e la competitività delle imprese.

    Periodo di applicazione
    Il credito d’imposta è riconosciuto per gli investimenti effettuati fino al 30 giugno 2026, a condizione che:
    -Entro il 31 dicembre 2025, l’ordine risulti accettato dal venditore;
    -Entro il 31 dicembre 2025, sia avvenuto il pagamento di acconti in misura almeno pari al 20% del costo di acquisizione.

    Tipologie di beni e intensità del credito
    Il credito d’imposta varia in base alla tipologia di bene e all’importo dell’investimento:
    -Beni strumentali materiali tecnologicamente avanzati (Allegato A, ex Iper ammortamento)
    -Fino a 2,5 milioni di euro: 20% del costo;
    -Oltre 2,5 milioni e fino a 10 milioni di euro: 10% del costo;
    -Oltre 10 milioni e fino a 20 milioni di euro: 5% del costo;
    -Oltre 10 milioni e fino a 50 milioni di euro: 5% del costo, per investimenti inclusi nel PNRR diretti alla realizzazione di obiettivi di transizione.

    -Beni strumentali immateriali tecnologicamente avanzati (Allegato B)
    -2025: 10% del costo, nel limite massimo dei costi ammissibili pari a 1 milione di euro.
    -Altri beni strumentali materiali (ex Super Ammortamento)
    -2021: 10% nel limite massimo dei costi ammissibili pari a 2 milioni di euro;
    -2022: 6% nel limite massimo dei costi ammissibili pari a 2 milioni di euro.
    Adempimenti e comunicazioni
    Per accedere al credito d’imposta, le imprese devono:

    -Comunicare preventivamente al Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT) l’ammontare delle spese sostenute e il relativo credito d’imposta maturato;
    -Trasmettere una relazione tecnica asseverata di conformità con i contenuti previsti dalla normativa;
    -Rispettare i limiti di spesa previsti, in quanto, una volta esaurite le risorse, le comunicazioni saranno comunque acquisite, ma l’accesso al beneficio sarà possibile solo in caso di nuova disponibilità di fondi.

    Noi di Impresa.biz riteniamo che il credito d’imposta per investimenti in beni strumentali rappresenti un’opportunità significativa per le imprese italiane che desiderano innovare e migliorare la propria competitività. È fondamentale pianificare con attenzione gli investimenti, rispettare le scadenze e gli adempimenti previsti, per massimizzare i benefici fiscali disponibili.

    #ImpresaBiz #CreditoDimposta #Innovazione #InvestimentiAziendali #PMI #TransizioneDigitale #Industria4.0 #BeniStrumentali #Fisco #AgevolazioniFiscali

    💡 Credito d’imposta per investimenti in beni strumentali: come ottimizzare le opportunità fiscali Noi di Impresa.biz siamo consapevoli che, in un contesto economico in continua evoluzione, le imprese devono cogliere ogni opportunità per innovare e crescere. Una delle principali leve fiscali a disposizione è il credito d’imposta per investimenti in beni strumentali, introdotto per incentivare la trasformazione tecnologica e digitale dei processi produttivi. ✅ Cos’è il credito d’imposta per beni strumentali Il credito d’imposta è un’agevolazione fiscale riconosciuta alle imprese che effettuano investimenti in beni strumentali nuovi, materiali e immateriali, destinati a strutture produttive ubicate nel territorio dello Stato italiano. L’obiettivo è supportare l’innovazione e la competitività delle imprese. 📅 Periodo di applicazione Il credito d’imposta è riconosciuto per gli investimenti effettuati fino al 30 giugno 2026, a condizione che: -Entro il 31 dicembre 2025, l’ordine risulti accettato dal venditore; -Entro il 31 dicembre 2025, sia avvenuto il pagamento di acconti in misura almeno pari al 20% del costo di acquisizione. 🧾 Tipologie di beni e intensità del credito Il credito d’imposta varia in base alla tipologia di bene e all’importo dell’investimento: -Beni strumentali materiali tecnologicamente avanzati (Allegato A, ex Iper ammortamento) -Fino a 2,5 milioni di euro: 20% del costo; -Oltre 2,5 milioni e fino a 10 milioni di euro: 10% del costo; -Oltre 10 milioni e fino a 20 milioni di euro: 5% del costo; -Oltre 10 milioni e fino a 50 milioni di euro: 5% del costo, per investimenti inclusi nel PNRR diretti alla realizzazione di obiettivi di transizione. -Beni strumentali immateriali tecnologicamente avanzati (Allegato B) -2025: 10% del costo, nel limite massimo dei costi ammissibili pari a 1 milione di euro. -Altri beni strumentali materiali (ex Super Ammortamento) -2021: 10% nel limite massimo dei costi ammissibili pari a 2 milioni di euro; -2022: 6% nel limite massimo dei costi ammissibili pari a 2 milioni di euro. 📝 Adempimenti e comunicazioni Per accedere al credito d’imposta, le imprese devono: -Comunicare preventivamente al Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT) l’ammontare delle spese sostenute e il relativo credito d’imposta maturato; -Trasmettere una relazione tecnica asseverata di conformità con i contenuti previsti dalla normativa; -Rispettare i limiti di spesa previsti, in quanto, una volta esaurite le risorse, le comunicazioni saranno comunque acquisite, ma l’accesso al beneficio sarà possibile solo in caso di nuova disponibilità di fondi. 💼Noi di Impresa.biz riteniamo che il credito d’imposta per investimenti in beni strumentali rappresenti un’opportunità significativa per le imprese italiane che desiderano innovare e migliorare la propria competitività. È fondamentale pianificare con attenzione gli investimenti, rispettare le scadenze e gli adempimenti previsti, per massimizzare i benefici fiscali disponibili. #ImpresaBiz #CreditoDimposta #Innovazione #InvestimentiAziendali #PMI #TransizioneDigitale #Industria4.0 #BeniStrumentali #Fisco #AgevolazioniFiscali
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  • Contabilità semplificata vs ordinaria: differenze e vantaggi
    Noi di Impresa.biz sappiamo quanto sia importante, soprattutto per le piccole e medie imprese, capire quale regime contabile sia più adatto alla propria realtà. Contabilità semplificata o ordinaria? È una scelta che incide direttamente sul carico amministrativo, fiscale e sulla gestione aziendale.

    Entrambi i regimi sono previsti dalla normativa fiscale italiana, ma presentano differenze sostanziali sia in termini di obblighi che di vantaggi.

    Contabilità semplificata: per chi e perché
    La contabilità semplificata è riservata a imprese individuali e società di persone che non superano determinati limiti di ricavi:
    -500.000 euro per attività di servizi,
    -800.000 euro per le altre attività.

    È una forma agevolata di tenuta della contabilità, che prevede:
    -la registrazione solo dei ricavi e dei costi effettivamente incassati o pagati (criterio di cassa);
    -minori obblighi contabili: non è obbligatoria la redazione del bilancio, né la tenuta del libro giornale o del libro inventari;
    -adempimenti fiscali semplificati.

    I vantaggi sono evidenti: minor carico burocratico, ridotti costi amministrativi, e una gestione più snella adatta soprattutto alle micro e piccole imprese.

    Contabilità ordinaria: quando è obbligatoria
    La contabilità ordinaria è obbligatoria:
    -per società di capitali (Srl, Spa), a prescindere dal fatturato,
    -per tutte le imprese che superano i limiti di ricavi previsti per la semplificata.

    Prevede:
    -la registrazione di tutte le operazioni economiche e patrimoniali, indipendentemente dall’incasso o pagamento (criterio di competenza);
    -la tenuta di scritture contabili complete (giornale, inventari, bilancio d’esercizio);
    -obblighi civilistici più stringenti.

    Anche se più complessa e onerosa, la contabilità ordinaria offre alcuni vantaggi:
    -una visione più completa della situazione aziendale;
    -la possibilità di dedurre più costi, tra cui accantonamenti e ammortamenti;
    -una maggiore credibilità verso banche, investitori e partner.

    Come scegliere il regime contabile?
    La scelta tra contabilità semplificata e ordinaria non è solo una questione di obblighi normativi. Deve basarsi su:
    -dimensione dell’impresa;
    -tipologia dell’attività;
    -esigenze di controllo gestionale;
    e anche su prospettive di crescita.

    Noi di Impresa.biz consigliamo di valutare insieme al proprio consulente fiscale l’impatto economico e organizzativo di ciascuna opzione. In alcuni casi, passare volontariamente alla contabilità ordinaria può risultare vantaggioso, ad esempio per accedere più facilmente a finanziamenti o per avere una gestione interna più strutturata.

    Il nostro obiettivo è fornire strumenti e informazioni che aiutino le imprese a prendere decisioni consapevoli e sostenibili nel tempo.

    #ImpresaBiz #ContabilitàSemplificata #ContabilitàOrdinaria #PMI #Fisco #GestioneImpresa #RegimeContabile #Bilancio #AmministrazioneAziendale #ImprenditoriaItaliana
    Contabilità semplificata vs ordinaria: differenze e vantaggi Noi di Impresa.biz sappiamo quanto sia importante, soprattutto per le piccole e medie imprese, capire quale regime contabile sia più adatto alla propria realtà. Contabilità semplificata o ordinaria? È una scelta che incide direttamente sul carico amministrativo, fiscale e sulla gestione aziendale. Entrambi i regimi sono previsti dalla normativa fiscale italiana, ma presentano differenze sostanziali sia in termini di obblighi che di vantaggi. Contabilità semplificata: per chi e perché La contabilità semplificata è riservata a imprese individuali e società di persone che non superano determinati limiti di ricavi: -500.000 euro per attività di servizi, -800.000 euro per le altre attività. È una forma agevolata di tenuta della contabilità, che prevede: -la registrazione solo dei ricavi e dei costi effettivamente incassati o pagati (criterio di cassa); -minori obblighi contabili: non è obbligatoria la redazione del bilancio, né la tenuta del libro giornale o del libro inventari; -adempimenti fiscali semplificati. I vantaggi sono evidenti: minor carico burocratico, ridotti costi amministrativi, e una gestione più snella adatta soprattutto alle micro e piccole imprese. Contabilità ordinaria: quando è obbligatoria La contabilità ordinaria è obbligatoria: -per società di capitali (Srl, Spa), a prescindere dal fatturato, -per tutte le imprese che superano i limiti di ricavi previsti per la semplificata. Prevede: -la registrazione di tutte le operazioni economiche e patrimoniali, indipendentemente dall’incasso o pagamento (criterio di competenza); -la tenuta di scritture contabili complete (giornale, inventari, bilancio d’esercizio); -obblighi civilistici più stringenti. Anche se più complessa e onerosa, la contabilità ordinaria offre alcuni vantaggi: -una visione più completa della situazione aziendale; -la possibilità di dedurre più costi, tra cui accantonamenti e ammortamenti; -una maggiore credibilità verso banche, investitori e partner. Come scegliere il regime contabile? La scelta tra contabilità semplificata e ordinaria non è solo una questione di obblighi normativi. Deve basarsi su: -dimensione dell’impresa; -tipologia dell’attività; -esigenze di controllo gestionale; e anche su prospettive di crescita. Noi di Impresa.biz consigliamo di valutare insieme al proprio consulente fiscale l’impatto economico e organizzativo di ciascuna opzione. In alcuni casi, passare volontariamente alla contabilità ordinaria può risultare vantaggioso, ad esempio per accedere più facilmente a finanziamenti o per avere una gestione interna più strutturata. Il nostro obiettivo è fornire strumenti e informazioni che aiutino le imprese a prendere decisioni consapevoli e sostenibili nel tempo. #ImpresaBiz #ContabilitàSemplificata #ContabilitàOrdinaria #PMI #Fisco #GestioneImpresa #RegimeContabile #Bilancio #AmministrazioneAziendale #ImprenditoriaItaliana
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  • Ritenuta d’acconto: quando si applica e come si calcola
    Noi di Impresa.biz affrontiamo ogni giorno i dubbi più comuni degli imprenditori e dei professionisti. Tra questi, uno dei temi più richiesti riguarda la ritenuta d’acconto: cos’è, quando si applica e come si calcola correttamente.

    La ritenuta d’acconto è un meccanismo fiscale che consente allo Stato di anticipare parte delle imposte sui redditi. In pratica, il committente (cioè il soggetto che paga la prestazione) trattiene una parte del compenso dovuto al prestatore d’opera (solitamente un professionista o collaboratore occasionale) e la versa direttamente all’Agenzia delle Entrate.

    Quando si applica?
    La ritenuta d’acconto si applica in caso di:
    -prestazioni di lavoro autonomo (professionisti con Partita IVA non in regime forfettario);
    -prestazioni occasionali, quando il compenso supera i 5.000 euro annui;
    -provvigioni e compensi ad agenti, rappresentanti o intermediari.
    Sono esonerati dall’applicazione della ritenuta i professionisti in regime forfettario, i quali emettono fattura senza ritenuta, inserendo l’apposita dicitura di esonero.

    Come si calcola?
    Il calcolo è semplice ma va fatto con attenzione:
    -La percentuale standard della ritenuta d’acconto è 20% del compenso lordo.
    -Il soggetto che riceve il pagamento emette una fattura o una ricevuta indicando il compenso lordo, la ritenuta (pari al 20%) e l’importo netto da ricevere.
    -Il committente trattiene la ritenuta e la versa allo Stato tramite modello F24 (codice tributo 1040, entro il giorno 16 del mese successivo al pagamento).

    Esempio pratico:
    -Compenso lordo: 1.000 euro
    -Ritenuta d’acconto (20%): 200 euro
    -Netto da pagare al professionista: 800 euro
    La ritenuta trattenuta sarà considerata dal professionista come acconto IRPEF da indicare nella dichiarazione dei redditi.

    Perché è importante fare attenzione?
    Una ritenuta d’acconto applicata in modo errato può generare problemi sia per chi la subisce che per chi la versa: sanzioni, errori fiscali, complicazioni in fase di dichiarazione dei redditi. Noi di Impresa.biz consigliamo sempre di:
    -verificare il regime fiscale del prestatore;
    -conservare correttamente le ricevute e le quietanze;
    -versare puntualmente le ritenute con F24.

    Essere precisi nella gestione delle ritenute è una responsabilità importante che incide sulla regolarità fiscale dell’attività. Affidarsi a un consulente o utilizzare strumenti digitali può aiutare ad automatizzare il processo e ridurre il margine di errore.

    Noi ci impegniamo ogni giorno per fornire agli imprenditori strumenti pratici e informazioni chiare per gestire al meglio gli adempimenti fiscali.

    #ImpresaBiz #RitenutaDAcconto #Fisco #PartitaIVA #LavoroAutonomo #PrestazioneOccasionale #ConsulenzaFiscale #PMI #GestioneFiscale #ImprenditoriaItaliana

    Ritenuta d’acconto: quando si applica e come si calcola Noi di Impresa.biz affrontiamo ogni giorno i dubbi più comuni degli imprenditori e dei professionisti. Tra questi, uno dei temi più richiesti riguarda la ritenuta d’acconto: cos’è, quando si applica e come si calcola correttamente. La ritenuta d’acconto è un meccanismo fiscale che consente allo Stato di anticipare parte delle imposte sui redditi. In pratica, il committente (cioè il soggetto che paga la prestazione) trattiene una parte del compenso dovuto al prestatore d’opera (solitamente un professionista o collaboratore occasionale) e la versa direttamente all’Agenzia delle Entrate. Quando si applica? La ritenuta d’acconto si applica in caso di: -prestazioni di lavoro autonomo (professionisti con Partita IVA non in regime forfettario); -prestazioni occasionali, quando il compenso supera i 5.000 euro annui; -provvigioni e compensi ad agenti, rappresentanti o intermediari. Sono esonerati dall’applicazione della ritenuta i professionisti in regime forfettario, i quali emettono fattura senza ritenuta, inserendo l’apposita dicitura di esonero. Come si calcola? Il calcolo è semplice ma va fatto con attenzione: -La percentuale standard della ritenuta d’acconto è 20% del compenso lordo. -Il soggetto che riceve il pagamento emette una fattura o una ricevuta indicando il compenso lordo, la ritenuta (pari al 20%) e l’importo netto da ricevere. -Il committente trattiene la ritenuta e la versa allo Stato tramite modello F24 (codice tributo 1040, entro il giorno 16 del mese successivo al pagamento). Esempio pratico: -Compenso lordo: 1.000 euro -Ritenuta d’acconto (20%): 200 euro -Netto da pagare al professionista: 800 euro La ritenuta trattenuta sarà considerata dal professionista come acconto IRPEF da indicare nella dichiarazione dei redditi. Perché è importante fare attenzione? Una ritenuta d’acconto applicata in modo errato può generare problemi sia per chi la subisce che per chi la versa: sanzioni, errori fiscali, complicazioni in fase di dichiarazione dei redditi. Noi di Impresa.biz consigliamo sempre di: -verificare il regime fiscale del prestatore; -conservare correttamente le ricevute e le quietanze; -versare puntualmente le ritenute con F24. Essere precisi nella gestione delle ritenute è una responsabilità importante che incide sulla regolarità fiscale dell’attività. Affidarsi a un consulente o utilizzare strumenti digitali può aiutare ad automatizzare il processo e ridurre il margine di errore. Noi ci impegniamo ogni giorno per fornire agli imprenditori strumenti pratici e informazioni chiare per gestire al meglio gli adempimenti fiscali. #ImpresaBiz #RitenutaDAcconto #Fisco #PartitaIVA #LavoroAutonomo #PrestazioneOccasionale #ConsulenzaFiscale #PMI #GestioneFiscale #ImprenditoriaItaliana
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  • Aprire una partita IVA da influencer: la mia guida pratica (senza panico)

    Quando ho capito che fare l’influencer non era più un hobby ma un lavoro vero, mi sono fatta la domanda che ogni creator si trova davanti prima o poi:
    “Devo aprire la partita IVA?”

    Spoiler: la risposta è sì, se guadagni in modo continuativo.
    All’inizio mi sembrava tutto complicato: codici ATECO, regimi fiscali, fatture, INPS…
    Ma ti assicuro che, una volta capito il meccanismo, non è poi così spaventoso. E anzi, aprire la partita IVA è stato un passaggio fondamentale per sentirmi davvero una professionista del digitale.

    Ecco la mia guida pratica, basata su esperienza diretta, per aiutarti a fare il passo senza ansia.

    1. Quando serve davvero aprire la partita IVA?
    Se fai attività di promozione online e ricevi compensi in modo continuativo (che siano soldi o prodotti con valore commerciale), non puoi più operare da “privato”.
    Una collaborazione una tantum ogni tanto può rientrare nelle prestazioni occasionali, ma se pubblichi per lavoro (e vieni pagatə), serve la partita IVA.

    2. Quale codice ATECO si usa?
    Il più usato per chi lavora come influencer è:

    73.11.02 – Conduzione di campagne di marketing e altri servizi pubblicitari

    Alcuni usano anche codici legati a “servizi di consulenza” o “content creation”, a seconda delle attività specifiche. Il consiglio? Parlane con un commercialista che conosce il settore digital.

    3. Che regime fiscale scegliere?
    Il regime forfettario è il più gettonato tra i creator all’inizio, perché:
    -vale se fatturi fino a €85.000 l’anno
    -hai un’imposta unica del 5% (nei primi 5 anni, poi 15%)
    -paghi INPS gestione separata (a parte, circa il 26% sul reddito)
    È semplice da gestire, con meno burocrazia e costi di avvio contenuti.

    4. Come si apre concretamente?
    Hai due opzioni:
    -Puoi farlo online tramite un commercialista (ti consiglio quelli specializzati in creator e freelance digitali)
    -Oppure farlo tu da sola tramite il sito dell’Agenzia delle Entrate (ma solo se sai già dove mettere le mani)
    Io ho scelto di affidarmi a un professionista: ho risparmiato tempo, errori e stress.

    5. E una volta aperta, cosa cambia?
    Inizi a emettere fatture (con o senza ritenuta, a seconda del cliente)
    Versi i contributi INPS (trimestralmente)
    Fai la dichiarazione dei redditi ogni anno
    E puoi finalmente lavorare in modo regolare con brand e agenzie — che lo richiedono sempre più spesso

    La verità?
    Aprire la partita IVA non è la fine della libertà: è l’inizio del tuo percorso come vera imprenditrice digitale.

    Smetti di pensarti come “una che fa contenuti” e inizia a vederti come una professionista che crea valore, genera business e merita di essere pagata in modo giusto e trasparente.

    #partitaIVAinfluencer #creatorfiscale #imprenditricedigitale #influencerlife #businessdigitale #regimeforfettario #aprirelapartitaIVA #fiscofacile #impresaBiz #lavoraonline #brandcollaboration #freelancelife

    Aprire una partita IVA da influencer: la mia guida pratica (senza panico) Quando ho capito che fare l’influencer non era più un hobby ma un lavoro vero, mi sono fatta la domanda che ogni creator si trova davanti prima o poi: “Devo aprire la partita IVA?” Spoiler: la risposta è sì, se guadagni in modo continuativo. All’inizio mi sembrava tutto complicato: codici ATECO, regimi fiscali, fatture, INPS… Ma ti assicuro che, una volta capito il meccanismo, non è poi così spaventoso. E anzi, aprire la partita IVA è stato un passaggio fondamentale per sentirmi davvero una professionista del digitale. Ecco la mia guida pratica, basata su esperienza diretta, per aiutarti a fare il passo senza ansia. 1. Quando serve davvero aprire la partita IVA? Se fai attività di promozione online e ricevi compensi in modo continuativo (che siano soldi o prodotti con valore commerciale), non puoi più operare da “privato”. Una collaborazione una tantum ogni tanto può rientrare nelle prestazioni occasionali, ma se pubblichi per lavoro (e vieni pagatə), serve la partita IVA. 2. Quale codice ATECO si usa? Il più usato per chi lavora come influencer è: 73.11.02 – Conduzione di campagne di marketing e altri servizi pubblicitari Alcuni usano anche codici legati a “servizi di consulenza” o “content creation”, a seconda delle attività specifiche. Il consiglio? Parlane con un commercialista che conosce il settore digital. 3. Che regime fiscale scegliere? Il regime forfettario è il più gettonato tra i creator all’inizio, perché: -vale se fatturi fino a €85.000 l’anno -hai un’imposta unica del 5% (nei primi 5 anni, poi 15%) -paghi INPS gestione separata (a parte, circa il 26% sul reddito) È semplice da gestire, con meno burocrazia e costi di avvio contenuti. 4. Come si apre concretamente? Hai due opzioni: -Puoi farlo online tramite un commercialista (ti consiglio quelli specializzati in creator e freelance digitali) -Oppure farlo tu da sola tramite il sito dell’Agenzia delle Entrate (ma solo se sai già dove mettere le mani) Io ho scelto di affidarmi a un professionista: ho risparmiato tempo, errori e stress. 5. E una volta aperta, cosa cambia? 📌 Inizi a emettere fatture (con o senza ritenuta, a seconda del cliente) 📌 Versi i contributi INPS (trimestralmente) 📌 Fai la dichiarazione dei redditi ogni anno 📌 E puoi finalmente lavorare in modo regolare con brand e agenzie — che lo richiedono sempre più spesso La verità? Aprire la partita IVA non è la fine della libertà: è l’inizio del tuo percorso come vera imprenditrice digitale. Smetti di pensarti come “una che fa contenuti” e inizia a vederti come una professionista che crea valore, genera business e merita di essere pagata in modo giusto e trasparente. #partitaIVAinfluencer #creatorfiscale #imprenditricedigitale #influencerlife #businessdigitale #regimeforfettario #aprirelapartitaIVA #fiscofacile #impresaBiz #lavoraonline #brandcollaboration #freelancelife
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  • L'Impatto delle Politiche Fiscali sull'Internazionalizzazione delle Imprese Italiane

    Noi di Impresa.biz seguiamo con attenzione l’evoluzione delle politiche fiscali, consapevoli che queste influenzano in modo decisivo le strategie di internazionalizzazione delle imprese italiane. Operare all’estero non significa solo affrontare nuove sfide commerciali, ma anche confrontarsi con regimi fiscali differenti, incentivi più o meno favorevoli e, talvolta, con meccanismi di doppia imposizione.

    La fiscalità, quindi, non è mai neutrale: può essere un ostacolo o un acceleratore della crescita internazionale.

    Regimi fiscali competitivi e scelte strategiche
    Quando valutiamo un mercato estero, uno degli elementi che analizziamo per primi è il contesto fiscale locale: livello di tassazione, incentivi per investitori stranieri, esenzioni sui profitti reinvestiti, trattati contro la doppia imposizione. Tutti fattori che possono determinare la scelta tra insediarsi con una filiale, operare tramite export diretto o costituire una joint venture.

    Ad esempio, paesi con corporate tax ridotta o con sistemi di agevolazione per le imprese manifatturiere possono diventare hub strategici per produzioni destinate a più mercati. In altri casi, invece, ci confrontiamo con burocrazie complesse, tassazione opaca e incertezza normativa, che rendono necessari strumenti di pianificazione fiscale accurati.

    Il ruolo della fiscalità nazionale
    Anche il sistema fiscale italiano gioca un ruolo chiave nel processo di internazionalizzazione. Alcuni strumenti – come il credito d’imposta per attività R&S, il Patent Box o i regimi per gli impatriati – possono supportare le imprese che innovano, crescono e si espandono all’estero. Tuttavia, siamo consapevoli che la pressione fiscale interna, se troppo elevata o imprevedibile, può limitare la competitività delle nostre imprese sui mercati globali.

    Per questo motivo, promuoviamo una cultura d’impresa in cui la fiscalità viene gestita in modo strategico, non solo come un adempimento, ma come leva di crescita.

    Pianificazione fiscale internazionale: una necessità
    Nell’internazionalizzazione, la pianificazione fiscale non è più un’opzione: è una necessità. Noi e le imprese che seguiamo ci affidiamo a consulenze specializzate per evitare duplicazioni d’imposta, ottimizzare la gestione delle risorse finanziarie e garantire la conformità con le normative locali e internazionali (come il BEPS – Base Erosion and Profit Shifting promosso dall’OCSE).

    Inoltre, monitoriamo costantemente l’evoluzione delle direttive europee e degli accordi bilaterali, perché un cambiamento normativo può trasformare radicalmente la convenienza di un’operazione all’estero.

    Fiscalità come leva strategica
    Noi di Impresa.biz siamo convinti che, per un’impresa italiana che guarda ai mercati esteri, la fiscalità non debba mai essere trattata come un tema secondario. Al contrario, rappresenta una leva strategica da integrare fin da subito nel piano di espansione.

    Solo attraverso un approccio consapevole e una gestione fiscale proattiva possiamo affrontare l’internazionalizzazione con efficienza, proteggere i margini di profitto e valorizzare appieno il potenziale globale delle nostre imprese.

    #ImpresaBiz #PoliticheFiscali #Internazionalizzazione #ImpreseItaliane #FiscalitàInternazionale #DoppiaImposizione #EspansioneEstera #PianificazioneFiscale #Export #Competitività #TaxPlanning #FiscoGlobale #OCSE #BEPS
    L'Impatto delle Politiche Fiscali sull'Internazionalizzazione delle Imprese Italiane Noi di Impresa.biz seguiamo con attenzione l’evoluzione delle politiche fiscali, consapevoli che queste influenzano in modo decisivo le strategie di internazionalizzazione delle imprese italiane. Operare all’estero non significa solo affrontare nuove sfide commerciali, ma anche confrontarsi con regimi fiscali differenti, incentivi più o meno favorevoli e, talvolta, con meccanismi di doppia imposizione. La fiscalità, quindi, non è mai neutrale: può essere un ostacolo o un acceleratore della crescita internazionale. Regimi fiscali competitivi e scelte strategiche Quando valutiamo un mercato estero, uno degli elementi che analizziamo per primi è il contesto fiscale locale: livello di tassazione, incentivi per investitori stranieri, esenzioni sui profitti reinvestiti, trattati contro la doppia imposizione. Tutti fattori che possono determinare la scelta tra insediarsi con una filiale, operare tramite export diretto o costituire una joint venture. Ad esempio, paesi con corporate tax ridotta o con sistemi di agevolazione per le imprese manifatturiere possono diventare hub strategici per produzioni destinate a più mercati. In altri casi, invece, ci confrontiamo con burocrazie complesse, tassazione opaca e incertezza normativa, che rendono necessari strumenti di pianificazione fiscale accurati. Il ruolo della fiscalità nazionale Anche il sistema fiscale italiano gioca un ruolo chiave nel processo di internazionalizzazione. Alcuni strumenti – come il credito d’imposta per attività R&S, il Patent Box o i regimi per gli impatriati – possono supportare le imprese che innovano, crescono e si espandono all’estero. Tuttavia, siamo consapevoli che la pressione fiscale interna, se troppo elevata o imprevedibile, può limitare la competitività delle nostre imprese sui mercati globali. Per questo motivo, promuoviamo una cultura d’impresa in cui la fiscalità viene gestita in modo strategico, non solo come un adempimento, ma come leva di crescita. Pianificazione fiscale internazionale: una necessità Nell’internazionalizzazione, la pianificazione fiscale non è più un’opzione: è una necessità. Noi e le imprese che seguiamo ci affidiamo a consulenze specializzate per evitare duplicazioni d’imposta, ottimizzare la gestione delle risorse finanziarie e garantire la conformità con le normative locali e internazionali (come il BEPS – Base Erosion and Profit Shifting promosso dall’OCSE). Inoltre, monitoriamo costantemente l’evoluzione delle direttive europee e degli accordi bilaterali, perché un cambiamento normativo può trasformare radicalmente la convenienza di un’operazione all’estero. Fiscalità come leva strategica Noi di Impresa.biz siamo convinti che, per un’impresa italiana che guarda ai mercati esteri, la fiscalità non debba mai essere trattata come un tema secondario. Al contrario, rappresenta una leva strategica da integrare fin da subito nel piano di espansione. Solo attraverso un approccio consapevole e una gestione fiscale proattiva possiamo affrontare l’internazionalizzazione con efficienza, proteggere i margini di profitto e valorizzare appieno il potenziale globale delle nostre imprese. #ImpresaBiz #PoliticheFiscali #Internazionalizzazione #ImpreseItaliane #FiscalitàInternazionale #DoppiaImposizione #EspansioneEstera #PianificazioneFiscale #Export #Competitività #TaxPlanning #FiscoGlobale #OCSE #BEPS
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  • Come vendere in Europa senza partita IVA estera: cosa dice la normativa OSS

    Quando ho iniziato a ricevere ordini da clienti in Germania, Francia e Spagna, mi sono subito chiesta:
    "Devo aprire una partita IVA in ogni Paese dove vendo?"

    Per fortuna, la risposta è no — almeno non finché resti entro certe soglie.
    La normativa OSS (One Stop Shop), attiva dal luglio 2021, è stata una vera svolta per chi, come me, vende online anche fuori dall’Italia ma non ha una struttura estera.

    Ecco tutto quello che ho imparato — e che ti serve sapere — se vuoi vendere legalmente in Europa senza complicarti la vita con più partite IVA.

    Che cos’è il regime OSS?
    OSS sta per One Stop Shop: un sistema dell’Unione Europea che ti permette di dichiarare e versare l’IVA di tutte le vendite intracomunitarie (cioè verso clienti privati in altri Paesi UE) tramite un unico portale, quello dell’Agenzia delle Entrate italiana.
    Tradotto: puoi vendere in tutta Europa e versare l’IVA da qui, senza aprire posizioni fiscali all’estero.

    A chi serve l’OSS?
    Il regime OSS è pensato per chi:
    -Vende beni o servizi B2C (cioè a clienti privati) in altri Paesi UE
    -Supera 10.000 € di vendite annue totali verso l’estero
    -Ha una sede unica in Italia, ma clienti in tutta Europa
    Se vendi solo in Italia o sotto i 10.000 €, puoi ancora applicare l’IVA italiana.
    Ma una volta superata la soglia, devi applicare l’IVA del Paese del cliente (e quindi usare l’OSS, o aprire una partita IVA locale).

    Come funziona in pratica
    Ecco i passi che ho seguito:
    -Registrazione OSS – L’ho fatto online, sul sito dell’Agenzia delle Entrate.
    -Fatturazione corretta – Quando vendo in Germania, applico l’IVA tedesca, in Spagna quella spagnola, ecc.
    Dichiarazione OSS trimestrale – Ogni 3 mesi compilo una dichiarazione unica con il totale dell’IVA raccolta in ogni Paese e la verso in Italia.

    Tutto centralizzato, tutto tracciabile.

    Attenzione a questi errori comuni
    -Non monitorare le soglie: tieni sempre d’occhio i 10.000 € (si riferiscono al totale UE, non per singolo Paese).
    -Applicare l’IVA sbagliata: devi sapere le aliquote corrette per ogni Paese.
    -Non distinguere tra B2B e B2C: l’OSS vale solo per clienti privati, non per aziende con partita IVA.

    Io uso un gestionale che calcola l’IVA in automatico in base alla destinazione: comodissimo.

    Pro e vantaggi del regime OSS
    Zero burocrazia estera
    Più semplice di aprire più partite IVA
    Tutto gestito dall’Italia
    Ideale per e-commerce, digital products e servizi online

    Vendere in Europa oggi è molto più semplice, grazie all’OSS.
    Io l’ho attivato dopo aver superato i 10.000 € di vendite UE e non tornerei più indietro: è stato il modo più snello, legale e scalabile per crescere fuori dai confini italiani senza perdermi nella burocrazia.

    Se anche tu vuoi espanderti in Europa senza complicazioni fiscali, l’OSS è il punto di partenza giusto.

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    Come vendere in Europa senza partita IVA estera: cosa dice la normativa OSS 🇪🇺📦 Quando ho iniziato a ricevere ordini da clienti in Germania, Francia e Spagna, mi sono subito chiesta: "Devo aprire una partita IVA in ogni Paese dove vendo?" Per fortuna, la risposta è no — almeno non finché resti entro certe soglie. La normativa OSS (One Stop Shop), attiva dal luglio 2021, è stata una vera svolta per chi, come me, vende online anche fuori dall’Italia ma non ha una struttura estera. Ecco tutto quello che ho imparato — e che ti serve sapere — se vuoi vendere legalmente in Europa senza complicarti la vita con più partite IVA. 📌 Che cos’è il regime OSS? OSS sta per One Stop Shop: un sistema dell’Unione Europea che ti permette di dichiarare e versare l’IVA di tutte le vendite intracomunitarie (cioè verso clienti privati in altri Paesi UE) tramite un unico portale, quello dell’Agenzia delle Entrate italiana. 👉 Tradotto: puoi vendere in tutta Europa e versare l’IVA da qui, senza aprire posizioni fiscali all’estero. 🛍️ A chi serve l’OSS? Il regime OSS è pensato per chi: -Vende beni o servizi B2C (cioè a clienti privati) in altri Paesi UE -Supera 10.000 € di vendite annue totali verso l’estero -Ha una sede unica in Italia, ma clienti in tutta Europa 💡 Se vendi solo in Italia o sotto i 10.000 €, puoi ancora applicare l’IVA italiana. Ma una volta superata la soglia, devi applicare l’IVA del Paese del cliente (e quindi usare l’OSS, o aprire una partita IVA locale). 📦 Come funziona in pratica Ecco i passi che ho seguito: -Registrazione OSS – L’ho fatto online, sul sito dell’Agenzia delle Entrate. -Fatturazione corretta – Quando vendo in Germania, applico l’IVA tedesca, in Spagna quella spagnola, ecc. Dichiarazione OSS trimestrale – Ogni 3 mesi compilo una dichiarazione unica con il totale dell’IVA raccolta in ogni Paese e la verso in Italia. Tutto centralizzato, tutto tracciabile. ⚠️ Attenzione a questi errori comuni -Non monitorare le soglie: tieni sempre d’occhio i 10.000 € (si riferiscono al totale UE, non per singolo Paese). -Applicare l’IVA sbagliata: devi sapere le aliquote corrette per ogni Paese. -Non distinguere tra B2B e B2C: l’OSS vale solo per clienti privati, non per aziende con partita IVA. Io uso un gestionale che calcola l’IVA in automatico in base alla destinazione: comodissimo. ✅ Pro e vantaggi del regime OSS ✔️ Zero burocrazia estera ✔️ Più semplice di aprire più partite IVA ✔️ Tutto gestito dall’Italia ✔️ Ideale per e-commerce, digital products e servizi online Vendere in Europa oggi è molto più semplice, grazie all’OSS. Io l’ho attivato dopo aver superato i 10.000 € di vendite UE e non tornerei più indietro: è stato il modo più snello, legale e scalabile per crescere fuori dai confini italiani senza perdermi nella burocrazia. Se anche tu vuoi espanderti in Europa senza complicazioni fiscali, l’OSS è il punto di partenza giusto. #OSS2025 #VendereInEuropa #EcommerceInternazionale #IVAUE #ImpresaBiz #OneStopShop #FiscoDigitale #VenditeOnline #PartitaIVAUnica #DigitalExport
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