• Marketing digitale per l’internazionalizzazione: campagne che funzionano oltre i confini

    Quando ho iniziato a espandere il mio e-commerce all’estero, mi ero illuso che bastasse tradurre le mie campagne italiane in inglese. Peccato che i risultati non arrivavano. Stesse creatività, stessi annunci, stesso prodotto… ma ROI completamente diversi.

    L’internazionalizzazione digitale non è una copia-incolla. Serve capire il mercato, localizzare il messaggio, scegliere i canali giusti. Dopo diversi test (e parecchi errori), ecco le campagne che per me hanno davvero funzionato oltre i confini.

    1. Campagne geo-localizzate e multi-lingua (con creatività su misura)
    Ogni Paese ha il suo tono, le sue abitudini digitali, i suoi codici visivi. In Francia, ho notato che funzionano headline più istituzionali. In Germania, il focus sulla qualità tecnica del prodotto. In Spagna, un tono più empatico e diretto.

    Cosa faccio oggi:
    -Creo campagne Facebook/Instagram/Google per singolo Paese
    -Adatto testi, immagini e offerte non solo nella lingua, ma nel contesto
    -Collaboro con copywriter e designer madrelingua quando possibile
    Le campagne che convertono di più sono quelle che sembrano nate in quel mercato, non tradotte da un altro.

    2. SEO e contenuti localizzati: la base organica per ogni mercato
    Prima di investire in advertising, lavoro sulla presenza organica. Ho scoperto che il 30–40% delle mie vendite estere arrivano da traffico SEO ben fatto.

    Uso:
    -Keyword research locale (non basta tradurre quelle italiane)
    -Blog e pagine prodotto riscritte da 0 per ogni Paese
    -Link building locale e schede prodotto con formati compatibili
    Una pagina ben ottimizzata in tedesco mi ha portato più vendite di una campagna Facebook mal localizzata.

    3. Campagne search (Google Ads) basate su intenti locali
    In alcuni mercati, le campagne più redditizie sono quelle di ricerca (search). Il motivo? L’utente è già pronto a comprare.

    Cosa ho imparato:
    -Le parole chiave cambiano da Paese a Paese, anche a parità di prodotto
    -Gli annunci devono rispettare le abitudini di scrittura locali
    -Le landing page devono essere coerenti (e veloci!)
    In UK, ad esempio, Google Ads ha reso molto più del social nei primi mesi di ingresso sul mercato.

    4. Collaborazioni con micro-influencer locali
    Per entrare in nuovi mercati ho testato le collaborazioni con creator e micro-influencer locali. Non parlo solo di grandi influencer, ma di figure verticali con community molto fedeli.

    Strategia:
    -Scelgo influencer con 5–30k follower e ottimo engagement
    -Invio prodotti, propongo codici sconto localizzati
    -Monitoro le conversioni con link tracciati o UTM
    In Belgio, un solo post da parte di una creator “mamma” ha fatto impennare gli ordini del 20% in una settimana.

    5. Email marketing e automation internazionale
    Anche le newsletter devono cambiare. Ho segmentato il database per Paese e lingua, e ora:
    -Invio promozioni localizzate con call to action “culturalmente coerenti”
    -Creo flussi automatizzati (abbandono carrello, post-vendita, recensioni) tradotti e personalizzati
    -Testo oggetti e orari di invio per ogni mercato
    Ho scoperto che in Nord Europa gli utenti aprono più volentieri le email la mattina presto. In Spagna, nel tardo pomeriggio.

    6. Retargeting intelligente cross-border
    Infine, ho attivato retargeting su Meta e Google, ma solo per utenti già segmentati per Paese e lingua. Così evito sprechi e comunico nel modo giusto.
    -Custom audience per chi ha visitato il sito nella lingua X
    -Lookalike basati su clienti attivi in un singolo mercato
    -Annunci dinamici (es. prodotti visti) con prezzo e valuta corretti

    Il marketing digitale per l’internazionalizzazione non si improvvisa. Funziona quando ragioni per mercato, non per canale. Quando ascolti il cliente locale prima ancora di parlargli.

    E quando smetti di pensare "come italiano che vende all’estero", e inizi a pensare come un brand locale in un mercato globale.

    #DigitalExport #MarketingInternazionale #EcommerceStrategy #InternazionalizzazioneDigitale #SEOInternazionale #AdsMultilingua #PMIitaliane #MadeInItalyOnline #GrowthMarketing #CrossBorderEcommerce

    Marketing digitale per l’internazionalizzazione: campagne che funzionano oltre i confini Quando ho iniziato a espandere il mio e-commerce all’estero, mi ero illuso che bastasse tradurre le mie campagne italiane in inglese. Peccato che i risultati non arrivavano. Stesse creatività, stessi annunci, stesso prodotto… ma ROI completamente diversi. L’internazionalizzazione digitale non è una copia-incolla. Serve capire il mercato, localizzare il messaggio, scegliere i canali giusti. Dopo diversi test (e parecchi errori), ecco le campagne che per me hanno davvero funzionato oltre i confini. 🌍 1. Campagne geo-localizzate e multi-lingua (con creatività su misura) Ogni Paese ha il suo tono, le sue abitudini digitali, i suoi codici visivi. In Francia, ho notato che funzionano headline più istituzionali. In Germania, il focus sulla qualità tecnica del prodotto. In Spagna, un tono più empatico e diretto. Cosa faccio oggi: -Creo campagne Facebook/Instagram/Google per singolo Paese -Adatto testi, immagini e offerte non solo nella lingua, ma nel contesto -Collaboro con copywriter e designer madrelingua quando possibile 📌 Le campagne che convertono di più sono quelle che sembrano nate in quel mercato, non tradotte da un altro. 🔎 2. SEO e contenuti localizzati: la base organica per ogni mercato Prima di investire in advertising, lavoro sulla presenza organica. Ho scoperto che il 30–40% delle mie vendite estere arrivano da traffico SEO ben fatto. Uso: -Keyword research locale (non basta tradurre quelle italiane) -Blog e pagine prodotto riscritte da 0 per ogni Paese -Link building locale e schede prodotto con formati compatibili 📌 Una pagina ben ottimizzata in tedesco mi ha portato più vendite di una campagna Facebook mal localizzata. 🎯 3. Campagne search (Google Ads) basate su intenti locali In alcuni mercati, le campagne più redditizie sono quelle di ricerca (search). Il motivo? L’utente è già pronto a comprare. Cosa ho imparato: -Le parole chiave cambiano da Paese a Paese, anche a parità di prodotto -Gli annunci devono rispettare le abitudini di scrittura locali -Le landing page devono essere coerenti (e veloci!) 📌 In UK, ad esempio, Google Ads ha reso molto più del social nei primi mesi di ingresso sul mercato. 🤝 4. Collaborazioni con micro-influencer locali Per entrare in nuovi mercati ho testato le collaborazioni con creator e micro-influencer locali. Non parlo solo di grandi influencer, ma di figure verticali con community molto fedeli. Strategia: -Scelgo influencer con 5–30k follower e ottimo engagement -Invio prodotti, propongo codici sconto localizzati -Monitoro le conversioni con link tracciati o UTM 📌 In Belgio, un solo post da parte di una creator “mamma” ha fatto impennare gli ordini del 20% in una settimana. 📩 5. Email marketing e automation internazionale Anche le newsletter devono cambiare. Ho segmentato il database per Paese e lingua, e ora: -Invio promozioni localizzate con call to action “culturalmente coerenti” -Creo flussi automatizzati (abbandono carrello, post-vendita, recensioni) tradotti e personalizzati -Testo oggetti e orari di invio per ogni mercato 📌 Ho scoperto che in Nord Europa gli utenti aprono più volentieri le email la mattina presto. In Spagna, nel tardo pomeriggio. 📱 6. Retargeting intelligente cross-border Infine, ho attivato retargeting su Meta e Google, ma solo per utenti già segmentati per Paese e lingua. Così evito sprechi e comunico nel modo giusto. -Custom audience per chi ha visitato il sito nella lingua X -Lookalike basati su clienti attivi in un singolo mercato -Annunci dinamici (es. prodotti visti) con prezzo e valuta corretti Il marketing digitale per l’internazionalizzazione non si improvvisa. Funziona quando ragioni per mercato, non per canale. Quando ascolti il cliente locale prima ancora di parlargli. E quando smetti di pensare "come italiano che vende all’estero", e inizi a pensare come un brand locale in un mercato globale. #DigitalExport #MarketingInternazionale #EcommerceStrategy #InternazionalizzazioneDigitale #SEOInternazionale #AdsMultilingua #PMIitaliane #MadeInItalyOnline #GrowthMarketing #CrossBorderEcommerce
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  • Customer care globale: come gestire assistenza multilingue per un e-commerce internazionale

    Quando ho iniziato a vendere fuori dall’Italia, pensavo che bastasse tradurre il sito e offrire spedizioni internazionali. Ma ho capito molto presto che la vera sfida arriva dopo la vendita: gestire le richieste, i problemi, le aspettative dei clienti stranieri.

    Se vuoi crescere all’estero con il tuo e-commerce, non puoi improvvisare il servizio clienti. Serve organizzazione, tecnologia e soprattutto capacità di comunicare in modo efficace in più lingue.

    Ecco cosa ho imparato sulla mia pelle.

    1. Non basta l’inglese: serve localizzazione vera
    Molti pensano che offrire assistenza in inglese sia sufficiente per tutti i mercati. Sbagliato.

    I clienti francesi spesso preferiscono il francese.
    In Germania la puntualità e la precisione fanno la differenza.
    Gli spagnoli tendono a chiamare o scrivere con un tono più colloquiale.
    In Polonia si aspettano un contatto diretto, magari anche telefonico.

    Lezione imparata: offrire supporto solo in inglese può compromettere la fiducia e le conversioni.

    2. Team interno o outsourcing? Dipende da dove vuoi crescere
    All’inizio ho gestito tutto in casa, rispondendo personalmente alle mail estere con Google Translate (sì, davvero). Poi ho capito che serviva un team dedicato.

    Oggi uso un mix:
    -Team interno per Italia e Paesi core (Francia e Germania)
    -Outsourcing con call center multilingua per mercati secondari
    Per me ha funzionato bene lavorare con agenzie specializzate in e-commerce (con operatori madrelingua) che rispondono via email, live chat e, se serve, telefono.

    3. Le tecnologie che fanno la differenza
    Un customer care globale ha bisogno di strumenti che centralizzino tutto:
    -Helpdesk come Zendesk, Freshdesk o Gorgias, che raccolgono ticket da email, chat, social e marketplace
    -Traduzione automatica integrata, utile per capirsi rapidamente, anche se la risposta va comunque controllata da umani
    -Chatbot multilingua per coprire le domande frequenti H24
    -Sistemi di routing intelligente: smistano il ticket all’operatore giusto in base alla lingua
    Pro tip: integra il customer care al tuo CRM e al gestionale ordini. Risparmi tempo e riduci errori.

    4. Tempi di risposta e aspettative: cambiano da Paese a Paese
    In Italia possiamo permetterci anche di rispondere entro 24 ore. In Germania o UK, spesso il cliente si aspetta risposta entro 2–4 ore (soprattutto se ha pagato in anticipo o ha avuto un problema).

    Io oggi garantisco:
    -Live chat in tempo reale per 5 Paesi
    -Risposta email entro 12h in tutta Europa
    -Assistenza potenziata nel weekend durante i picchi stagionali

    5. Customer care = marketing
    Una cosa che ho capito tardi: il servizio clienti non è solo “gestione problemi”. È parte dell’esperienza utente e può diventare un plus competitivo.

    Un cliente che riceve risposta rapida, cortese e risolutiva diventa spesso un cliente fedele (e anche un ambasciatore del tuo brand).

    Ho iniziato a:
    -Personalizzare le risposte con tono locale
    -Offrire piccoli rimborsi o buoni per scusarmi in caso di errori
    -Chiedere feedback e recensioni dopo aver risolto il problema
    Gestire un customer care multilingua richiede risorse, ma ripaga. Non farlo significa perdere clienti, fiducia e reputazione nei mercati esteri.

    Non serve essere perfetti da subito: inizia con i mercati strategici, costruisci processi chiari, scegli le giuste tecnologie, e lavora con persone che conoscono bene la cultura del cliente.

    #CustomerCareEcommerce #SupportoMultilingua #EcommerceInternazionale #ServizioClientiGlobale #ExportDigitale #PMIitaliane #DigitalExperience #MadeInItalyOnline #CrossBorderEcommerce

    Customer care globale: come gestire assistenza multilingue per un e-commerce internazionale Quando ho iniziato a vendere fuori dall’Italia, pensavo che bastasse tradurre il sito e offrire spedizioni internazionali. Ma ho capito molto presto che la vera sfida arriva dopo la vendita: gestire le richieste, i problemi, le aspettative dei clienti stranieri. Se vuoi crescere all’estero con il tuo e-commerce, non puoi improvvisare il servizio clienti. Serve organizzazione, tecnologia e soprattutto capacità di comunicare in modo efficace in più lingue. Ecco cosa ho imparato sulla mia pelle. 🗣️ 1. Non basta l’inglese: serve localizzazione vera Molti pensano che offrire assistenza in inglese sia sufficiente per tutti i mercati. Sbagliato. 🇫🇷 I clienti francesi spesso preferiscono il francese. 🇩🇪 In Germania la puntualità e la precisione fanno la differenza. 🇪🇸 Gli spagnoli tendono a chiamare o scrivere con un tono più colloquiale. 🇵🇱 In Polonia si aspettano un contatto diretto, magari anche telefonico. 📌 Lezione imparata: offrire supporto solo in inglese può compromettere la fiducia e le conversioni. 👥 2. Team interno o outsourcing? Dipende da dove vuoi crescere All’inizio ho gestito tutto in casa, rispondendo personalmente alle mail estere con Google Translate (sì, davvero). Poi ho capito che serviva un team dedicato. Oggi uso un mix: -Team interno per Italia e Paesi core (Francia e Germania) -Outsourcing con call center multilingua per mercati secondari Per me ha funzionato bene lavorare con agenzie specializzate in e-commerce (con operatori madrelingua) che rispondono via email, live chat e, se serve, telefono. ⚙️ 3. Le tecnologie che fanno la differenza Un customer care globale ha bisogno di strumenti che centralizzino tutto: -Helpdesk come Zendesk, Freshdesk o Gorgias, che raccolgono ticket da email, chat, social e marketplace -Traduzione automatica integrata, utile per capirsi rapidamente, anche se la risposta va comunque controllata da umani -Chatbot multilingua per coprire le domande frequenti H24 -Sistemi di routing intelligente: smistano il ticket all’operatore giusto in base alla lingua 📌 Pro tip: integra il customer care al tuo CRM e al gestionale ordini. Risparmi tempo e riduci errori. ⏱️ 4. Tempi di risposta e aspettative: cambiano da Paese a Paese In Italia possiamo permetterci anche di rispondere entro 24 ore. In Germania o UK, spesso il cliente si aspetta risposta entro 2–4 ore (soprattutto se ha pagato in anticipo o ha avuto un problema). Io oggi garantisco: -Live chat in tempo reale per 5 Paesi -Risposta email entro 12h in tutta Europa -Assistenza potenziata nel weekend durante i picchi stagionali 5. Customer care = marketing Una cosa che ho capito tardi: il servizio clienti non è solo “gestione problemi”. È parte dell’esperienza utente e può diventare un plus competitivo. Un cliente che riceve risposta rapida, cortese e risolutiva diventa spesso un cliente fedele (e anche un ambasciatore del tuo brand). Ho iniziato a: -Personalizzare le risposte con tono locale -Offrire piccoli rimborsi o buoni per scusarmi in caso di errori -Chiedere feedback e recensioni dopo aver risolto il problema Gestire un customer care multilingua richiede risorse, ma ripaga. Non farlo significa perdere clienti, fiducia e reputazione nei mercati esteri. Non serve essere perfetti da subito: inizia con i mercati strategici, costruisci processi chiari, scegli le giuste tecnologie, e lavora con persone che conoscono bene la cultura del cliente. #CustomerCareEcommerce #SupportoMultilingua #EcommerceInternazionale #ServizioClientiGlobale #ExportDigitale #PMIitaliane #DigitalExperience #MadeInItalyOnline #CrossBorderEcommerce
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  • Internazionalizzazione e-commerce: cosa ho imparato portando il mio shop online fuori dall’Italia

    Quando ho aperto il mio e-commerce, il primo obiettivo era chiaro: farmi conoscere in Italia. Ma appena ho cominciato a vedere risultati concreti, la domanda è sorta spontanea: e se provassi a vendere anche all’estero?

    Così è iniziato il mio percorso di internazionalizzazione. Non è stato facile, né lineare. Ma oggi, dopo aver venduto in diversi Paesi europei (e non solo), posso dire che è stata una delle decisioni più giuste — ma solo perché ho imparato, testato e corretto lungo il cammino.

    Ecco cosa ho scoperto.

    1. Ogni Paese è un mondo a sé
    All’inizio pensavo che bastasse tradurre il sito in inglese per essere “internazionale”. In realtà, ogni Paese ha abitudini, aspettative e comportamenti d’acquisto diversi.

    In Francia i clienti leggono tutto, vogliono dettagli e rassicurazioni.
    In Germania apprezzano trasparenza, precisione, e formati di pagamento come Klarna.
    In UK il prezzo e la velocità di spedizione fanno spesso la differenza.

    Lezione imparata: non esiste una strategia “valida per tutti”. Serve adattamento culturale, linguistico e tecnico.

    2. IVA, dazi, regole locali: studia o ti blocchi
    La parte fiscale è quella che mi ha spaventato di più. Ma ignorarla può portare problemi seri.
    -Per vendere in Europa ho attivato il regime OSS (One Stop Shop) per gestire correttamente l’IVA.
    -Per UK (post-Brexit) e USA ho dovuto calcolare dazi, tasse locali e gestione dei resi in modo separato.
    -Ho rivisto termini e condizioni, policy sulla privacy, cookie banner… tutto secondo le normative locali.
    Lezione imparata: investire in consulenza legale/fiscale all’inizio ti fa dormire sereno (e ti evita multe e clienti scontenti).

    3. Logistica: la vera sfida dell’internazionalizzazione
    Pensavo che spedire un pacco in Francia o Germania fosse solo questione di corriere. Poi ho capito che:
    -I tempi di consegna devono essere chiari e realistici
    -Le spedizioni devono prevedere tracciamento e, se possibile, DDP (dazi già pagati)
    -I resi vanno gestiti localmente, o diventano un disastro

    Alla fine ho optato per:
    -Fulfillment in Europa per ordini esteri
    -Etichette prepagate per i resi
    -Automazioni con software di logistica
    Lezione imparata: la logistica è parte dell’esperienza utente. E un cliente francese non ti perdona un ritardo come farebbe un cliente italiano.

    4. Pagamenti locali = conversioni più alte
    Nel mio primo mese di test in Germania, metà dei carrelli veniva abbandonata. Perché? Non offrivo i metodi di pagamento locali più usati (come Sofort o SEPA Direct Debit).

    Ora, per ogni Paese, ho attivato:
    -Le valute locali
    -I gateway di pagamento più popolari
    -Una UX localizzata anche nel checkout
    Lezione imparata: se non rendi facile il pagamento, stai perdendo vendite pronte.

    5. Il marketing va ripensato da zero
    Le prime campagne Facebook tradotte in inglese non funzionavano. Né le Google Ads “duplicate” dalla versione italiana.

    Oggi:
    -Creo adv pensate per il target locale, anche a livello visivo
    -Lavoro con micro-influencer del posto
    -Faccio SEO su keyword specifiche di quel Paese, non solo tradotte
    Lezione imparata: non puoi “esportare” lo stesso marketing. Devi comunicare come se fossi già parte di quel mercato.

    In sintesi: cosa rifarei (e cosa no)
    Rifarei:
    -Usare i marketplace per testare i mercati
    -Investire da subito in localizzazione vera
    -Studiare bene la parte fiscale e legale

    Eviterei:
    -Tradurre il sito in modo automatico
    -Pensare che la logistica sia un dettaglio
    -Copiare le campagne italiane cambiando solo lingua e valuta

    Un consiglio finale
    Portare un e-commerce fuori dall’Italia non è per tutti, ma nemmeno così complesso come sembra. Serve metodo, dati e voglia di adattarsi. E soprattutto: non fare tutto insieme. Parti da uno o due mercati. Testa, impara, poi scala.

    #InternazionalizzazioneEcommerce #ExportDigitale #PMIitaliane #VendereAllEstero #MadeInItaly #DigitalExport #EcommerceInternazionale #CrossBorderEcommerce #Localizzazione #EsperienzaUtente
    Internazionalizzazione e-commerce: cosa ho imparato portando il mio shop online fuori dall’Italia Quando ho aperto il mio e-commerce, il primo obiettivo era chiaro: farmi conoscere in Italia. Ma appena ho cominciato a vedere risultati concreti, la domanda è sorta spontanea: e se provassi a vendere anche all’estero? Così è iniziato il mio percorso di internazionalizzazione. Non è stato facile, né lineare. Ma oggi, dopo aver venduto in diversi Paesi europei (e non solo), posso dire che è stata una delle decisioni più giuste — ma solo perché ho imparato, testato e corretto lungo il cammino. Ecco cosa ho scoperto. 🌍 1. Ogni Paese è un mondo a sé All’inizio pensavo che bastasse tradurre il sito in inglese per essere “internazionale”. In realtà, ogni Paese ha abitudini, aspettative e comportamenti d’acquisto diversi. 🇫🇷 In Francia i clienti leggono tutto, vogliono dettagli e rassicurazioni. 🇩🇪 In Germania apprezzano trasparenza, precisione, e formati di pagamento come Klarna. 🇬🇧 In UK il prezzo e la velocità di spedizione fanno spesso la differenza. 📌 Lezione imparata: non esiste una strategia “valida per tutti”. Serve adattamento culturale, linguistico e tecnico. 🧾 2. IVA, dazi, regole locali: studia o ti blocchi La parte fiscale è quella che mi ha spaventato di più. Ma ignorarla può portare problemi seri. -Per vendere in Europa ho attivato il regime OSS (One Stop Shop) per gestire correttamente l’IVA. -Per UK (post-Brexit) e USA ho dovuto calcolare dazi, tasse locali e gestione dei resi in modo separato. -Ho rivisto termini e condizioni, policy sulla privacy, cookie banner… tutto secondo le normative locali. 📌 Lezione imparata: investire in consulenza legale/fiscale all’inizio ti fa dormire sereno (e ti evita multe e clienti scontenti). 📦 3. Logistica: la vera sfida dell’internazionalizzazione Pensavo che spedire un pacco in Francia o Germania fosse solo questione di corriere. Poi ho capito che: -I tempi di consegna devono essere chiari e realistici -Le spedizioni devono prevedere tracciamento e, se possibile, DDP (dazi già pagati) -I resi vanno gestiti localmente, o diventano un disastro Alla fine ho optato per: -Fulfillment in Europa per ordini esteri -Etichette prepagate per i resi -Automazioni con software di logistica 📌 Lezione imparata: la logistica è parte dell’esperienza utente. E un cliente francese non ti perdona un ritardo come farebbe un cliente italiano. 💳 4. Pagamenti locali = conversioni più alte Nel mio primo mese di test in Germania, metà dei carrelli veniva abbandonata. Perché? Non offrivo i metodi di pagamento locali più usati (come Sofort o SEPA Direct Debit). Ora, per ogni Paese, ho attivato: -Le valute locali -I gateway di pagamento più popolari -Una UX localizzata anche nel checkout 📌 Lezione imparata: se non rendi facile il pagamento, stai perdendo vendite pronte. 📣 5. Il marketing va ripensato da zero Le prime campagne Facebook tradotte in inglese non funzionavano. Né le Google Ads “duplicate” dalla versione italiana. Oggi: -Creo adv pensate per il target locale, anche a livello visivo -Lavoro con micro-influencer del posto -Faccio SEO su keyword specifiche di quel Paese, non solo tradotte 📌 Lezione imparata: non puoi “esportare” lo stesso marketing. Devi comunicare come se fossi già parte di quel mercato. 💡 In sintesi: cosa rifarei (e cosa no) Rifarei: -Usare i marketplace per testare i mercati -Investire da subito in localizzazione vera -Studiare bene la parte fiscale e legale Eviterei: -Tradurre il sito in modo automatico -Pensare che la logistica sia un dettaglio -Copiare le campagne italiane cambiando solo lingua e valuta 🚀 Un consiglio finale Portare un e-commerce fuori dall’Italia non è per tutti, ma nemmeno così complesso come sembra. Serve metodo, dati e voglia di adattarsi. E soprattutto: non fare tutto insieme. Parti da uno o due mercati. Testa, impara, poi scala. #InternazionalizzazioneEcommerce #ExportDigitale #PMIitaliane #VendereAllEstero #MadeInItaly #DigitalExport #EcommerceInternazionale #CrossBorderEcommerce #Localizzazione #EsperienzaUtente
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  • Come usare i marketplace per testare un mercato estero prima di investire
    Quando ho deciso di vendere i miei prodotti all’estero, il primo pensiero è stato: da dove comincio senza bruciarmi budget e tempo? La risposta l’ho trovata nei marketplace internazionali.

    Invece di partire subito con sito localizzato, magazzino, customer care e campagne complesse, ho scelto un approccio più snello: usare i marketplace per validare il mercato.

    È stato il modo migliore per capire se c’era davvero domanda, quali prodotti funzionavano, e che tipo di cliente mi aspettava oltre confine. Ecco come ci sono arrivato, passo dopo passo.

    1. Perché partire da un marketplace
    Un marketplace ti dà visibilità immediata, struttura già pronta, e accesso a un pubblico locale. Non serve creare un sito da zero o investire in SEO internazionale.

    Vantaggi chiave:
    -Testi e valute localizzati
    -Logistica (a volte) semplificata
    -Marketing integrato
    -Accesso a migliaia di clienti locali già attivi

    2. Scegliere il marketplace giusto per il tuo settore
    Io ho cominciato vendendo su Amazon.fr e eBay.de. Ma nel tempo ho capito che la scelta deve essere fatta in base al Paese e al tipo di prodotto.

    Ecco come ho selezionato le piattaforme:
    Settore Marketplace ideale Paesi di forza
    Artigianato / design Etsy, Amazon Handmade USA, Francia, UK
    Moda / accessori Zalando Partner, Spartoo, Miinto Germania, Nord Europa
    Home & Garden ManoMano, Wayfair, eBay Francia, Regno Unito, Germania
    Tech / elettronica eBay, BackMarket Francia, Spagna, Polonia
    Tutto (generalista) Amazon, Cdiscount, Kaufland, Fruugo Europa e mercati globali

    Consiglio: prima di iscriverti, guarda se ci sono prodotti simili ai tuoi, che prezzi hanno, e se ci sono recensioni.

    3. Cosa puoi testare davvero
    Nei primi 3 mesi su marketplace esteri ho capito:
    -Quali prodotti funzionavano meglio fuori dall’Italia
    -Quanto erano disposti a pagare i clienti stranieri
    -Che tipo di comunicazione risuonava di più
    -Quali erano i problemi (spedizioni lente, resi, recensioni)
    -Quanto margine avevo dopo commissioni e costi di logistica
    Usa questi dati come base per decidere se aprire un tuo shop locale o no.

    4. Gestione dei costi: non è “gratis”, ma è scalabile
    Ogni marketplace prende una % sulle vendite (dal 10% al 20%) e può avere:
    -Costo fisso mensile (es. Amazon: ~39€/mese)
    -Commissioni su transazioni
    -Costi di logistica (se usi FBA o equivalenti)
    Ma il bello è che paghi solo se vendi. Nessun investimento in advertising o sviluppo preventivo.
    Per me è stato un modo a basso rischio per capire dove valeva la pena investire di più (e dove no).

    5. Ottimizzare schede prodotto e feedback
    Per vendere bene devi curare la scheda prodotto come se fossi sul tuo sito:
    -Titolo chiaro + keyword locali (in lingua)
    -Descrizione adattata, non tradotta
    -Foto professionali (ma realistiche)
    -Prezzo competitivo
    -Politiche di reso e spedizione trasparenti
    E poi: chiedi feedback! Le recensioni nei marketplace sono il tuo passaporto per la fiducia nei mercati stranieri.

    6. Dopo il test: cosa fare se funziona
    Dopo 6 mesi su marketplace esteri avevo dati reali su:
    -Paesi più redditizi
    -Fasce di prezzo preferite
    -Domande frequenti dei clienti
    -Problematiche di logistica e servizio

    Con questi insight ho lanciato:
    -Un sito e-commerce localizzato solo in 2 mercati (Francia e Germania)
    -Ads mirate con messaggi testati
    -Un magazzino doganale in Belgio
    Il test è stato il trampolino per un export digitale solido, mirato e sostenibile.

    Usare i marketplace per testare un mercato estero è una delle mosse più intelligenti che abbia fatto. Non servono grandi budget, ma un metodo e la voglia di imparare dal mercato.

    Partire da lì mi ha permesso di fare scelte consapevoli e internazionalizzare senza bruciarmi.

    #MarketplaceExport #EcommerceInternazionale #TestDiMercato #ExportDigitale #PMIitaliane #VendereAllEstero #AmazonSeller #EtsyItalia #CrossBorderEcommerce #DigitalExport #MadeInItaly

    Come usare i marketplace per testare un mercato estero prima di investire Quando ho deciso di vendere i miei prodotti all’estero, il primo pensiero è stato: da dove comincio senza bruciarmi budget e tempo? La risposta l’ho trovata nei marketplace internazionali. Invece di partire subito con sito localizzato, magazzino, customer care e campagne complesse, ho scelto un approccio più snello: usare i marketplace per validare il mercato. È stato il modo migliore per capire se c’era davvero domanda, quali prodotti funzionavano, e che tipo di cliente mi aspettava oltre confine. Ecco come ci sono arrivato, passo dopo passo. 🔍 1. Perché partire da un marketplace Un marketplace ti dà visibilità immediata, struttura già pronta, e accesso a un pubblico locale. Non serve creare un sito da zero o investire in SEO internazionale. ✅ Vantaggi chiave: -Testi e valute localizzati -Logistica (a volte) semplificata -Marketing integrato -Accesso a migliaia di clienti locali già attivi 🌍 2. Scegliere il marketplace giusto per il tuo settore Io ho cominciato vendendo su Amazon.fr e eBay.de. Ma nel tempo ho capito che la scelta deve essere fatta in base al Paese e al tipo di prodotto. Ecco come ho selezionato le piattaforme: Settore Marketplace ideale Paesi di forza Artigianato / design Etsy, Amazon Handmade USA, Francia, UK Moda / accessori Zalando Partner, Spartoo, Miinto Germania, Nord Europa Home & Garden ManoMano, Wayfair, eBay Francia, Regno Unito, Germania Tech / elettronica eBay, BackMarket Francia, Spagna, Polonia Tutto (generalista) Amazon, Cdiscount, Kaufland, Fruugo Europa e mercati globali 📌 Consiglio: prima di iscriverti, guarda se ci sono prodotti simili ai tuoi, che prezzi hanno, e se ci sono recensioni. 🧪 3. Cosa puoi testare davvero Nei primi 3 mesi su marketplace esteri ho capito: -Quali prodotti funzionavano meglio fuori dall’Italia -Quanto erano disposti a pagare i clienti stranieri -Che tipo di comunicazione risuonava di più -Quali erano i problemi (spedizioni lente, resi, recensioni) -Quanto margine avevo dopo commissioni e costi di logistica 📌 Usa questi dati come base per decidere se aprire un tuo shop locale o no. 💸 4. Gestione dei costi: non è “gratis”, ma è scalabile Ogni marketplace prende una % sulle vendite (dal 10% al 20%) e può avere: -Costo fisso mensile (es. Amazon: ~39€/mese) -Commissioni su transazioni -Costi di logistica (se usi FBA o equivalenti) Ma il bello è che paghi solo se vendi. Nessun investimento in advertising o sviluppo preventivo. 📌 Per me è stato un modo a basso rischio per capire dove valeva la pena investire di più (e dove no). ✍️ 5. Ottimizzare schede prodotto e feedback Per vendere bene devi curare la scheda prodotto come se fossi sul tuo sito: -Titolo chiaro + keyword locali (in lingua) -Descrizione adattata, non tradotta -Foto professionali (ma realistiche) -Prezzo competitivo -Politiche di reso e spedizione trasparenti E poi: chiedi feedback! Le recensioni nei marketplace sono il tuo passaporto per la fiducia nei mercati stranieri. 🛠️ 6. Dopo il test: cosa fare se funziona Dopo 6 mesi su marketplace esteri avevo dati reali su: -Paesi più redditizi -Fasce di prezzo preferite -Domande frequenti dei clienti -Problematiche di logistica e servizio Con questi insight ho lanciato: -Un sito e-commerce localizzato solo in 2 mercati (Francia e Germania) -Ads mirate con messaggi testati -Un magazzino doganale in Belgio 📌 Il test è stato il trampolino per un export digitale solido, mirato e sostenibile. Usare i marketplace per testare un mercato estero è una delle mosse più intelligenti che abbia fatto. Non servono grandi budget, ma un metodo e la voglia di imparare dal mercato. Partire da lì mi ha permesso di fare scelte consapevoli e internazionalizzare senza bruciarmi. #MarketplaceExport #EcommerceInternazionale #TestDiMercato #ExportDigitale #PMIitaliane #VendereAllEstero #AmazonSeller #EtsyItalia #CrossBorderEcommerce #DigitalExport #MadeInItaly
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  • SEO internazionale per e-commerce: come farsi trovare nei motori di ricerca stranieri

    Quando ho iniziato a vendere all’estero con il mio e-commerce, credevo che bastasse tradurre il sito per essere trovabile anche da Google in Germania, Francia o Spagna. In realtà, ho scoperto che la SEO internazionale è molto più di una traduzione: è strategia, struttura e localizzazione.

    Dopo test, errori e consulenze (anche costose…), ho messo a punto un sistema per rendere visibile il mio shop sui motori di ricerca esteri. Ecco cosa ho imparato.

    1. Scegliere la giusta struttura internazionale del sito
    Il primo bivio è tecnico: come organizzare il sito per i mercati esteri?
    -ccTLD (es. sito.fr, sito.de) → ideale per mercati con alto traffico e potenziale, ma richiede più gestione.
    -Subdirectory (es. sito.com/fr/) → la scelta più comune, SEO-friendly e facile da mantenere.
    -Subdomain (es. fr.sito.com) → possibile, ma più debole a livello SEO rispetto alle subdirectory.
    Io ho scelto subdirectory, perché mantengono l’autorità del dominio principale e sono più facili da gestire con CMS come Shopify o WordPress.

    2. Tradurre? No: localizzare i contenuti
    La SEO internazionale non perdona le traduzioni automatiche. Google in ogni Paese premia contenuti ottimizzati per la lingua e la cultura locale.
    -Ho fatto tradurre i testi da copywriter madrelingua.
    -Ho fatto ricerche keyword specifiche per ogni Paese con strumenti come Semrush, Ubersuggest, Ahrefs e Google Trends.
    -Ho adattato URL, meta tag, H1 e ALT text in ogni lingua.
    La parola “calzature artigianali” in Italia diventa “handmade leather shoes” in UK e “chaussures en cuir fait main” in Francia — ma cambia anche il tono.

    3. Segnali per Google: hreflang e geotargeting
    Per evitare che Google confonda le versioni internazionali del mio sito (e non mostri quella giusta), ho usato il tag hreflang.
    Ho anche impostato il target geografico in Google Search Console per ogni versione del sito.
    Senza hreflang, Google può mostrare la versione italiana a un cliente tedesco… e addio conversione.

    4. SEO mobile e velocità: priorità globale
    In molti mercati, oltre il 70% delle ricerche arriva da smartphone. Ho lavorato per:
    -Ottimizzare le performance mobile
    -Ridurre il tempo di caricamento (<2 secondi)
    -Usare AMP o versioni leggere per le pagine prodotto
    Google considera la velocità e la user experience anche nella versione estera: non trascurarla!

    5. Backlink locali = autorità locale
    Per far salire le pagine nelle SERP estere, serve link building specifica per ogni Paese. Come?
    -Collaborazioni con blogger o media locali
    -Guest post su siti di settore
    -Inserzioni su portali locali o marketplace (che portano anche link)
    Non basta avere link italiani: per posizionarsi in Francia, servono link francesi, da siti con dominio .fr.

    Checklist base per partire con la SEO internazionale:
    Cosa Azione consigliata
    Struttura sito Usa subdirectory o ccTLD
    Traduzioni Affidati a madrelingua + keyword
    hreflang Implementa correttamente per ogni lingua
    Search Console Imposta targeting geografico
    Velocità mobile Ottimizza caricamento e UX
    Backlink locali Crea relazioni e link nel Paese target

    La SEO internazionale non è un extra: è una delle leve più potenti per vendere davvero online all’estero. Ma serve metodo, pazienza e adattamento. Tradurre è solo il punto di partenza: per farsi trovare, bisogna farsi capire, farsi apprezzare e farsi cercare.

    #SEOInternazionale #EcommerceExport #PMIitaliane #DigitalExport #LocalizzazioneSEO #CrossBorderEcommerce #MadeInItalyOnline #SearchMarketing #InternazionalizzazioneEcommerce
    SEO internazionale per e-commerce: come farsi trovare nei motori di ricerca stranieri Quando ho iniziato a vendere all’estero con il mio e-commerce, credevo che bastasse tradurre il sito per essere trovabile anche da Google in Germania, Francia o Spagna. In realtà, ho scoperto che la SEO internazionale è molto più di una traduzione: è strategia, struttura e localizzazione. Dopo test, errori e consulenze (anche costose…), ho messo a punto un sistema per rendere visibile il mio shop sui motori di ricerca esteri. Ecco cosa ho imparato. 🌍 1. Scegliere la giusta struttura internazionale del sito Il primo bivio è tecnico: come organizzare il sito per i mercati esteri? -ccTLD (es. sito.fr, sito.de) → ideale per mercati con alto traffico e potenziale, ma richiede più gestione. -Subdirectory (es. sito.com/fr/) → la scelta più comune, SEO-friendly e facile da mantenere. -Subdomain (es. fr.sito.com) → possibile, ma più debole a livello SEO rispetto alle subdirectory. 📌 Io ho scelto subdirectory, perché mantengono l’autorità del dominio principale e sono più facili da gestire con CMS come Shopify o WordPress. 🗣️ 2. Tradurre? No: localizzare i contenuti La SEO internazionale non perdona le traduzioni automatiche. Google in ogni Paese premia contenuti ottimizzati per la lingua e la cultura locale. -Ho fatto tradurre i testi da copywriter madrelingua. -Ho fatto ricerche keyword specifiche per ogni Paese con strumenti come Semrush, Ubersuggest, Ahrefs e Google Trends. -Ho adattato URL, meta tag, H1 e ALT text in ogni lingua. 📌 La parola “calzature artigianali” in Italia diventa “handmade leather shoes” in UK e “chaussures en cuir fait main” in Francia — ma cambia anche il tono. 🔍 3. Segnali per Google: hreflang e geotargeting Per evitare che Google confonda le versioni internazionali del mio sito (e non mostri quella giusta), ho usato il tag hreflang. ✅ Ho anche impostato il target geografico in Google Search Console per ogni versione del sito. 📌 Senza hreflang, Google può mostrare la versione italiana a un cliente tedesco… e addio conversione. 📱 4. SEO mobile e velocità: priorità globale In molti mercati, oltre il 70% delle ricerche arriva da smartphone. Ho lavorato per: -Ottimizzare le performance mobile -Ridurre il tempo di caricamento (<2 secondi) -Usare AMP o versioni leggere per le pagine prodotto 📌 Google considera la velocità e la user experience anche nella versione estera: non trascurarla! 🔗 5. Backlink locali = autorità locale Per far salire le pagine nelle SERP estere, serve link building specifica per ogni Paese. Come? -Collaborazioni con blogger o media locali -Guest post su siti di settore -Inserzioni su portali locali o marketplace (che portano anche link) 📌 Non basta avere link italiani: per posizionarsi in Francia, servono link francesi, da siti con dominio .fr. 🎯 Checklist base per partire con la SEO internazionale: Cosa Azione consigliata Struttura sito Usa subdirectory o ccTLD Traduzioni Affidati a madrelingua + keyword hreflang Implementa correttamente per ogni lingua Search Console Imposta targeting geografico Velocità mobile Ottimizza caricamento e UX Backlink locali Crea relazioni e link nel Paese target La SEO internazionale non è un extra: è una delle leve più potenti per vendere davvero online all’estero. Ma serve metodo, pazienza e adattamento. Tradurre è solo il punto di partenza: per farsi trovare, bisogna farsi capire, farsi apprezzare e farsi cercare. #SEOInternazionale #EcommerceExport #PMIitaliane #DigitalExport #LocalizzazioneSEO #CrossBorderEcommerce #MadeInItalyOnline #SearchMarketing #InternazionalizzazioneEcommerce
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  • Localizzazione di un e-commerce: tradurre o adattare? Ti racconto cosa ho imparato

    Quando ho deciso di vendere all’estero con il mio e-commerce, ho fatto quello che fanno in molti: ho tradotto il sito in inglese. Testi, bottoni, schede prodotto… tutto perfetto. Peccato che le vendite non arrivassero. Il traffico c’era, ma la conversione era bassa. Perché?

    Semplice: avevo tradotto, ma non localizzato.

    Tradurre ≠ Localizzare
    Tradurre è solo il primo passo. Localizzare significa entrare davvero in un mercato, parlare la lingua nella forma, nel tono e nel contesto giusto, tenere conto di usi culturali, aspettative, e abitudini di acquisto.

    Ecco cosa ho imparato sul campo.

    Schede prodotto: non solo parole, ma cultura
    Quando ho tradotto “artigianato italiano” in inglese come Italian handicraft, mi sembrava corretto. Ma ho scoperto che in UK la parola craft evoca mercatini, non lusso. In Germania, invece, conviene usare termini come Manufaktur o Design Made in Italy.
    Lezione: tradurre le schede prodotto senza adattare i termini chiave può far perdere il valore percepito del brand.

    Tone of voice e fiducia
    In Italia un "Scopri di più" funziona bene. In Francia, la forma di cortesia è fondamentale. In Olanda, il tono diretto e minimalista è più apprezzato. Ho dovuto riscrivere headline e call to action per ogni Paese target.
    Lezione: la fiducia online passa anche da come parli, non solo da cosa dici.

    Festività, promozioni e timing
    Avevo lanciato una campagna sconti il 2 giugno... senza rendermi conto che non è festivo all’estero. In UK e USA, il periodo forte è il Black Friday, in Francia i saldi sono regolati per legge, in Germania c’è attenzione alla trasparenza delle offerte.
    Lezione: localizzare vuol dire anche adattare il calendario commerciale.

    Pagamenti, valute e formati
    Il mio sito mostrava i prezzi in euro. Ma in UK, i clienti volevano vedere la sterlina. In Svezia, preferiscono Klarna. In Olanda, pagano con iDeal. Anche i formati di indirizzi e numeri di telefono devono cambiare.
    Lezione: localizzazione è anche esperienza d’acquisto fluida e coerente.

    Checkout e customer care
    Non basta tradurre le email automatiche. I miei primi clienti tedeschi si sono lamentati per un tono troppo “confidenziale” nei messaggi post-vendita. Ho rivisto tutto, dai messaggi di conferma alla gestione dei resi, in chiave locale.

    Lezione: se il cliente si sente “a casa”, compra. Se percepisce un sito “straniero”, si blocca.

    Quindi: meglio tradurre o adattare?
    La risposta è: entrambe le cose, ma partire sempre dall’adattamento. La traduzione letterale ti porta solo a metà strada. L’adattamento culturale, linguistico e tecnico ti fa arrivare fino al cliente.

    Checklist pratica di localizzazione (che uso io):
    Traduzioni fatte da madrelingua esperti in marketing
    SEO e parole chiave locali
    Adattamento immagini, simboli, colori
    Valute e metodi di pagamento locali
    Customer care in lingua
    Legal e cookie policy conformi al Paese
    Calendario commerciale e offerte personalizzate

    #LocalizzazioneEcommerce #TradurreOAdattare #ExportDigitale #PMIitaliane #MadeInItaly #EcommerceInternazionale #UserExperience #DigitalExport #CrossBorderEcommerce #VendereAllEstero

    Localizzazione di un e-commerce: tradurre o adattare? Ti racconto cosa ho imparato Quando ho deciso di vendere all’estero con il mio e-commerce, ho fatto quello che fanno in molti: ho tradotto il sito in inglese. Testi, bottoni, schede prodotto… tutto perfetto. Peccato che le vendite non arrivassero. Il traffico c’era, ma la conversione era bassa. Perché? Semplice: avevo tradotto, ma non localizzato. Tradurre ≠ Localizzare Tradurre è solo il primo passo. Localizzare significa entrare davvero in un mercato, parlare la lingua nella forma, nel tono e nel contesto giusto, tenere conto di usi culturali, aspettative, e abitudini di acquisto. Ecco cosa ho imparato sul campo. 🛍️ Schede prodotto: non solo parole, ma cultura Quando ho tradotto “artigianato italiano” in inglese come Italian handicraft, mi sembrava corretto. Ma ho scoperto che in UK la parola craft evoca mercatini, non lusso. In Germania, invece, conviene usare termini come Manufaktur o Design Made in Italy. 📌 Lezione: tradurre le schede prodotto senza adattare i termini chiave può far perdere il valore percepito del brand. 🗣️ Tone of voice e fiducia In Italia un "Scopri di più" funziona bene. In Francia, la forma di cortesia è fondamentale. In Olanda, il tono diretto e minimalista è più apprezzato. Ho dovuto riscrivere headline e call to action per ogni Paese target. 📌 Lezione: la fiducia online passa anche da come parli, non solo da cosa dici. 📅 Festività, promozioni e timing Avevo lanciato una campagna sconti il 2 giugno... senza rendermi conto che non è festivo all’estero. In UK e USA, il periodo forte è il Black Friday, in Francia i saldi sono regolati per legge, in Germania c’è attenzione alla trasparenza delle offerte. 📌 Lezione: localizzare vuol dire anche adattare il calendario commerciale. 💳 Pagamenti, valute e formati Il mio sito mostrava i prezzi in euro. Ma in UK, i clienti volevano vedere la sterlina. In Svezia, preferiscono Klarna. In Olanda, pagano con iDeal. Anche i formati di indirizzi e numeri di telefono devono cambiare. 📌 Lezione: localizzazione è anche esperienza d’acquisto fluida e coerente. 🛒 Checkout e customer care Non basta tradurre le email automatiche. I miei primi clienti tedeschi si sono lamentati per un tono troppo “confidenziale” nei messaggi post-vendita. Ho rivisto tutto, dai messaggi di conferma alla gestione dei resi, in chiave locale. 📌 Lezione: se il cliente si sente “a casa”, compra. Se percepisce un sito “straniero”, si blocca. 🎯 Quindi: meglio tradurre o adattare? La risposta è: entrambe le cose, ma partire sempre dall’adattamento. La traduzione letterale ti porta solo a metà strada. L’adattamento culturale, linguistico e tecnico ti fa arrivare fino al cliente. 🧩 Checklist pratica di localizzazione (che uso io): ✅ Traduzioni fatte da madrelingua esperti in marketing ✅ SEO e parole chiave locali ✅ Adattamento immagini, simboli, colori ✅ Valute e metodi di pagamento locali ✅ Customer care in lingua ✅ Legal e cookie policy conformi al Paese ✅ Calendario commerciale e offerte personalizzate #LocalizzazioneEcommerce #TradurreOAdattare #ExportDigitale #PMIitaliane #MadeInItaly #EcommerceInternazionale #UserExperience #DigitalExport #CrossBorderEcommerce #VendereAllEstero
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  • GDPR, cookies e privacy nei mercati esteri: come ho adattato il mio e-commerce

    Quando ho deciso di espandere il mio e-commerce all’estero, mi sono concentrato (giustamente) su localizzazione, logistica e metodi di pagamento. Ma ho trascurato un aspetto fondamentale: le regole sulla privacy.

    Eppure, è uno degli elementi che può bloccare le vendite, far scattare sanzioni o danneggiare la fiducia dei clienti. Dopo qualche errore iniziale, oggi ho un approccio molto più attento a GDPR, cookies e normative locali.

    Ecco cosa ho imparato e come ho adattato il mio sito per vendere senza rischi.

    1. GDPR: non è solo per l’Italia
    Il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR) è europeo, ma riguarda qualsiasi azienda che vende a utenti UE, anche se ha sede fuori.

    Cosa ho fatto:
    -Ho aggiornato la mia privacy policy con linguaggio chiaro, indicazioni sui trattamenti, finalità, base giuridica e durata.
    -Ho inserito il registro dei consensi, indispensabile in caso di controlli o richieste da parte degli utenti.
    -Ho nominato i miei responsabili del trattamento (come il provider hosting, il CRM, ecc.) e firmato i contratti previsti.
    Attenzione: non basta copiare e incollare una policy trovata online: serve un documento su misura per il tuo business.

    2. Cookie banner: non basta “accetta”
    Il vecchio banner “Continuando la navigazione acconsenti…” non è più sufficiente, né conforme.

    Cosa ho fatto:
    -Ho installato una cookie bar conforme (es. Cookiebot, iubenda, CookieYes) che consente all’utente di scegliere quali cookie accettare (funzionali, analitici, marketing).
    -Nessun cookie viene attivato prima del consenso esplicito, tracciato e conservato.
    Best practice: dai accesso all’utente a un pannello di preferenze modificabile anche dopo il primo accesso.

    3. Privacy e cookie law nei Paesi extra-UE
    Ogni mercato ha regole proprie. Alcuni esempi che ho dovuto considerare:
    -California (USA): ho dovuto adeguarmi al CCPA/CPRA, che dà diritto agli utenti di rifiutare la vendita dei propri dati e di richiederne la cancellazione.
    -Canada (PIPEDA): simile al GDPR, ma con alcune differenze su trasferimenti dati e obblighi di notifica.
    -Brasile (LGPD): molto vicino al GDPR europeo, ma con modulistica e lingua diverse.
    Soluzione: ho adottato un sistema di gestione privacy multilivello, che adatta automaticamente banner e policy in base al Paese di provenienza dell’utente.

    Se vendi fuori dall’UE, non ignorare le leggi locali: oggi esistono plugin e software che ti aiutano ad automatizzare tutto.

    4. Moduli di contatto, newsletter e remarketing: come gestirli
    Spesso dimentichiamo che ogni modulo che raccoglie dati personali (email, nome, telefono…) deve:
    -Indicare finalità e trattamento
    -Prevedere checkbox separata per il marketing
    -Consentire la revoca del consenso in ogni momento
    Ho ristrutturato tutti i miei form per essere trasparenti e 100% conformi. Anche le newsletter ora includono il double opt-in, come richiesto in diversi Paesi.

    Pro tip: attenzione a strumenti di marketing automation (Mailchimp, ActiveCampaign, ecc.): anche loro devono essere GDPR-compliant.

    5. Backup legale: cosa tenere pronto in caso di controlli
    Per stare tranquillo, oggi mantengo aggiornati:
    -Registro consensi cookie e privacy
    -Contratti con fornitori terzi (hosting, tool, ads)
    -Log dei consensi ottenuti via newsletter
    -Copie delle versioni delle policy in vigore nel tempo

    Come partire bene
    Aggiorna privacy policy e cookie banner
    Adatta tutto al Paese di destinazione
    Evita il “fai da te”: affidati a strumenti certificati
    Tieni traccia dei consensi e dei fornitori
    Rivedi moduli, tracking e newsletter in ottica privacy

    Privacy e fiducia vanno a braccetto: più il cliente si sente tutelato, più è propenso a comprare, anche da un brand che non conosce.

    #EcommerceInternazionale #PrivacyOnline #GDPR #CookiesPolicy #DigitalExport #VendereAllEstero #Compliance #DataProtection #PMIitaliane #CrossBorderEcommerce
    GDPR, cookies e privacy nei mercati esteri: come ho adattato il mio e-commerce Quando ho deciso di espandere il mio e-commerce all’estero, mi sono concentrato (giustamente) su localizzazione, logistica e metodi di pagamento. Ma ho trascurato un aspetto fondamentale: le regole sulla privacy. Eppure, è uno degli elementi che può bloccare le vendite, far scattare sanzioni o danneggiare la fiducia dei clienti. Dopo qualche errore iniziale, oggi ho un approccio molto più attento a GDPR, cookies e normative locali. Ecco cosa ho imparato e come ho adattato il mio sito per vendere senza rischi. 🛡️ 1. GDPR: non è solo per l’Italia Il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR) è europeo, ma riguarda qualsiasi azienda che vende a utenti UE, anche se ha sede fuori. Cosa ho fatto: -Ho aggiornato la mia privacy policy con linguaggio chiaro, indicazioni sui trattamenti, finalità, base giuridica e durata. -Ho inserito il registro dei consensi, indispensabile in caso di controlli o richieste da parte degli utenti. -Ho nominato i miei responsabili del trattamento (come il provider hosting, il CRM, ecc.) e firmato i contratti previsti. ✅ Attenzione: non basta copiare e incollare una policy trovata online: serve un documento su misura per il tuo business. 🍪 2. Cookie banner: non basta “accetta” Il vecchio banner “Continuando la navigazione acconsenti…” non è più sufficiente, né conforme. Cosa ho fatto: -Ho installato una cookie bar conforme (es. Cookiebot, iubenda, CookieYes) che consente all’utente di scegliere quali cookie accettare (funzionali, analitici, marketing). -Nessun cookie viene attivato prima del consenso esplicito, tracciato e conservato. ✅ Best practice: dai accesso all’utente a un pannello di preferenze modificabile anche dopo il primo accesso. 🌍 3. Privacy e cookie law nei Paesi extra-UE Ogni mercato ha regole proprie. Alcuni esempi che ho dovuto considerare: -California (USA): ho dovuto adeguarmi al CCPA/CPRA, che dà diritto agli utenti di rifiutare la vendita dei propri dati e di richiederne la cancellazione. -Canada (PIPEDA): simile al GDPR, ma con alcune differenze su trasferimenti dati e obblighi di notifica. -Brasile (LGPD): molto vicino al GDPR europeo, ma con modulistica e lingua diverse. Soluzione: ho adottato un sistema di gestione privacy multilivello, che adatta automaticamente banner e policy in base al Paese di provenienza dell’utente. ✅ Se vendi fuori dall’UE, non ignorare le leggi locali: oggi esistono plugin e software che ti aiutano ad automatizzare tutto. 🔐 4. Moduli di contatto, newsletter e remarketing: come gestirli Spesso dimentichiamo che ogni modulo che raccoglie dati personali (email, nome, telefono…) deve: -Indicare finalità e trattamento -Prevedere checkbox separata per il marketing -Consentire la revoca del consenso in ogni momento Ho ristrutturato tutti i miei form per essere trasparenti e 100% conformi. Anche le newsletter ora includono il double opt-in, come richiesto in diversi Paesi. ✅ Pro tip: attenzione a strumenti di marketing automation (Mailchimp, ActiveCampaign, ecc.): anche loro devono essere GDPR-compliant. 📌 5. Backup legale: cosa tenere pronto in caso di controlli Per stare tranquillo, oggi mantengo aggiornati: -Registro consensi cookie e privacy -Contratti con fornitori terzi (hosting, tool, ads) -Log dei consensi ottenuti via newsletter -Copie delle versioni delle policy in vigore nel tempo 🚦Come partire bene ✅ Aggiorna privacy policy e cookie banner ✅ Adatta tutto al Paese di destinazione ✅ Evita il “fai da te”: affidati a strumenti certificati ✅ Tieni traccia dei consensi e dei fornitori ✅ Rivedi moduli, tracking e newsletter in ottica privacy Privacy e fiducia vanno a braccetto: più il cliente si sente tutelato, più è propenso a comprare, anche da un brand che non conosce. #EcommerceInternazionale #PrivacyOnline #GDPR #CookiesPolicy #DigitalExport #VendereAllEstero #Compliance #DataProtection #PMIitaliane #CrossBorderEcommerce
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  • I 5 ostacoli principali all’internazionalizzazione di un e-commerce (e come superarli)

    Portare il proprio e-commerce oltre i confini nazionali è un obiettivo ambizioso ma realizzabile. Quando ho deciso di vendere i miei prodotti all’estero, mi sono scontrato con diversi ostacoli — alcuni prevedibili, altri meno. Ma ognuno di questi problemi, se affrontato con metodo, può trasformarsi in un’opportunità di crescita.

    Ecco i 5 principali ostacoli che ho incontrato nel mio percorso di internazionalizzazione (e come li ho superati).

    1. Localizzazione insufficiente
    Ostacolo: Pensare che basti tradurre il sito in inglese per “essere internazionali”.

    Soluzione: Ho imparato che ogni mercato ha il suo linguaggio, il suo stile, le sue abitudini. Ho investito in copywriter madrelingua e in SEO locale. Non solo: ho adattato valute, unità di misura, immagini e persino i colori del sito per renderlo più familiare ai nuovi utenti.

    2. Logistica inefficiente o troppo costosa
    Ostacolo: Spedizioni lente, costi doganali imprevedibili e clienti insoddisfatti.

    Soluzione: Ho cercato partner logistici locali e considerato il dropshipping europeo o il fulfillment (Amazon FBA, centri logistici in Germania e Olanda). Questo ha ridotto tempi e costi, aumentando il tasso di soddisfazione dei clienti stranieri.

    3. Barriere fiscali e normative
    Ostacolo: Gestire l’IVA in Europa, le regole di etichettatura, le policy sui resi… un incubo.

    Soluzione: Mi sono affidato a un commercialista specializzato in e-commerce e a software per la gestione fiscale cross-border. Inoltre, ho creato una sezione FAQ per spiegare chiaramente resi, garanzie e spese doganali.

    4. Pagamenti non localizzati
    Ostacolo: I clienti stranieri non riuscivano a pagare perché non supportavo i metodi di pagamento locali.

    Soluzione: Ho integrato metodi come Klarna, Sofort, iDEAL, Bancontact, a seconda del Paese. Questo piccolo sforzo ha aumentato la conversione, soprattutto nei mercati DACH (Germania, Austria, Svizzera).

    5. Marketing inefficace o copiato dall’Italia
    Ostacolo: Le campagne create per il pubblico italiano non funzionavano all’estero.

    Soluzione: Ho smesso di "tradurre" le campagne e ho iniziato a crearle da zero per ogni Paese. Ho fatto A/B test su Facebook e Google Ads localizzati, usato influencer locali e adattato i contenuti social allo stile e alle festività di ogni nazione.

    L’approccio giusto
    Internazionalizzare richiede un cambio di mentalità: non si tratta di vendere “fuori”, ma di entrare davvero in un nuovo mercato. Serve pazienza, strategia e la volontà di imparare dagli errori.

    Ogni ostacolo superato ha rafforzato il mio brand e mi ha reso più competitivo, anche nel mercato italiano. Se ci stai pensando: inizia, ma inizia bene.

    #Internazionalizzazione #EcommerceGlobal #PMIitaliane #ExportDigitale #LogisticaInternazionale #Localizzazione #DigitalMarketing #MadeInItaly #VendereAllEstero #CrossBorderEcommerce

    I 5 ostacoli principali all’internazionalizzazione di un e-commerce (e come superarli) Portare il proprio e-commerce oltre i confini nazionali è un obiettivo ambizioso ma realizzabile. Quando ho deciso di vendere i miei prodotti all’estero, mi sono scontrato con diversi ostacoli — alcuni prevedibili, altri meno. Ma ognuno di questi problemi, se affrontato con metodo, può trasformarsi in un’opportunità di crescita. Ecco i 5 principali ostacoli che ho incontrato nel mio percorso di internazionalizzazione (e come li ho superati). 1. 🌍 Localizzazione insufficiente Ostacolo: Pensare che basti tradurre il sito in inglese per “essere internazionali”. Soluzione: Ho imparato che ogni mercato ha il suo linguaggio, il suo stile, le sue abitudini. Ho investito in copywriter madrelingua e in SEO locale. Non solo: ho adattato valute, unità di misura, immagini e persino i colori del sito per renderlo più familiare ai nuovi utenti. 2. 📦 Logistica inefficiente o troppo costosa Ostacolo: Spedizioni lente, costi doganali imprevedibili e clienti insoddisfatti. Soluzione: Ho cercato partner logistici locali e considerato il dropshipping europeo o il fulfillment (Amazon FBA, centri logistici in Germania e Olanda). Questo ha ridotto tempi e costi, aumentando il tasso di soddisfazione dei clienti stranieri. 3. 🧾 Barriere fiscali e normative Ostacolo: Gestire l’IVA in Europa, le regole di etichettatura, le policy sui resi… un incubo. Soluzione: Mi sono affidato a un commercialista specializzato in e-commerce e a software per la gestione fiscale cross-border. Inoltre, ho creato una sezione FAQ per spiegare chiaramente resi, garanzie e spese doganali. 4. 💳 Pagamenti non localizzati Ostacolo: I clienti stranieri non riuscivano a pagare perché non supportavo i metodi di pagamento locali. Soluzione: Ho integrato metodi come Klarna, Sofort, iDEAL, Bancontact, a seconda del Paese. Questo piccolo sforzo ha aumentato la conversione, soprattutto nei mercati DACH (Germania, Austria, Svizzera). 5. 📢 Marketing inefficace o copiato dall’Italia Ostacolo: Le campagne create per il pubblico italiano non funzionavano all’estero. Soluzione: Ho smesso di "tradurre" le campagne e ho iniziato a crearle da zero per ogni Paese. Ho fatto A/B test su Facebook e Google Ads localizzati, usato influencer locali e adattato i contenuti social allo stile e alle festività di ogni nazione. 🧭L’approccio giusto Internazionalizzare richiede un cambio di mentalità: non si tratta di vendere “fuori”, ma di entrare davvero in un nuovo mercato. Serve pazienza, strategia e la volontà di imparare dagli errori. Ogni ostacolo superato ha rafforzato il mio brand e mi ha reso più competitivo, anche nel mercato italiano. Se ci stai pensando: inizia, ma inizia bene. #Internazionalizzazione #EcommerceGlobal #PMIitaliane #ExportDigitale #LogisticaInternazionale #Localizzazione #DigitalMarketing #MadeInItaly #VendereAllEstero #CrossBorderEcommerce
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  • Metodi di pagamento preferiti all’estero: come mi sono adattato al mercato locale

    Quando ho iniziato a vendere all’estero con il mio e-commerce, pensavo che bastasse accettare carte di credito internazionali come Visa e Mastercard. Invece, ho scoperto che ogni Paese ha le sue preferenze di pagamento, e non adattarsi può significare perdere tantissimi clienti.
    Ecco come ho fatto per capire quali metodi integrare, e come li ho scelti in base al mercato locale.

    1. Ho fatto ricerca sui metodi più usati nei Paesi target
    Non si tratta solo di carte di credito. Per esempio:

    -In Germania molti clienti preferiscono il bonifico bancario diretto (SOFORT, Giropay)
    -In Olanda il iDEAL è il metodo più diffuso
    -In Francia i pagamenti con Carte Bancaire sono molto popolari
    -Nel Regno Unito oltre alle carte c’è molta richiesta per PayPal
    -In Asia, invece, metodi come Alipay o WeChat Pay dominano
    Ho iniziato da qui, selezionando i metodi più rilevanti per i miei mercati.

    2. Ho integrato soluzioni di pagamento locali
    Non basta offrire PayPal o Stripe: ho integrato piattaforme che supportano i metodi locali specifici. Alcune soluzioni all-in-one per e-commerce offrono questa possibilità, ma ho voluto essere sicuro che tutto fosse davvero a norma e funzionante.

    3. Ho comunicato chiaramente le opzioni ai clienti
    Spesso si sottovaluta questo aspetto, ma ho imparato che far sapere al cliente quali metodi può usare aumenta la fiducia e riduce l’abbandono del carrello. Ho inserito icone e testi chiari sulle pagine di checkout e FAQ.

    4. Ho monitorato i tassi di conversione e abbandono
    Dopo aver integrato i metodi, ho tenuto sotto controllo i dati per capire:
    -Quali metodi usano di più i clienti
    -Se qualche metodo causa problemi o rallentamenti
    -Se ci sono differenze tra device (desktop vs mobile)
    -Così ho potuto ottimizzare continuamente.

    5. Ho curato sicurezza e conformità
    Non potevo dimenticare la sicurezza: i metodi di pagamento devono essere conformi a normative come PSD2 in Europa, e offrire protezione sia a me che al cliente. Ho scelto gateway che garantiscono crittografia e autenticazione forte.

    Adattarsi ai metodi di pagamento preferiti nel mercato locale è stato uno dei fattori chiave per espandere con successo il mio e-commerce all’estero. Offrire più opzioni, semplici e sicure, ha aumentato la fiducia dei clienti e ridotto gli abbandoni.
    Non basta vendere un prodotto: devi rendere l’acquisto il più facile possibile.

    #PagamentiDigitali #MetodiDiPagamento #EcommerceInternazionale #CrossBorderEcommerce #CheckoutSemplice #VendereAllEstero #PSD2 #GatewayPagamento #CustomerExperience #ImpresaDigitale

    Metodi di pagamento preferiti all’estero: come mi sono adattato al mercato locale Quando ho iniziato a vendere all’estero con il mio e-commerce, pensavo che bastasse accettare carte di credito internazionali come Visa e Mastercard. Invece, ho scoperto che ogni Paese ha le sue preferenze di pagamento, e non adattarsi può significare perdere tantissimi clienti. Ecco come ho fatto per capire quali metodi integrare, e come li ho scelti in base al mercato locale. 1. Ho fatto ricerca sui metodi più usati nei Paesi target Non si tratta solo di carte di credito. Per esempio: -In Germania molti clienti preferiscono il bonifico bancario diretto (SOFORT, Giropay) -In Olanda il iDEAL è il metodo più diffuso -In Francia i pagamenti con Carte Bancaire sono molto popolari -Nel Regno Unito oltre alle carte c’è molta richiesta per PayPal -In Asia, invece, metodi come Alipay o WeChat Pay dominano Ho iniziato da qui, selezionando i metodi più rilevanti per i miei mercati. 2. Ho integrato soluzioni di pagamento locali Non basta offrire PayPal o Stripe: ho integrato piattaforme che supportano i metodi locali specifici. Alcune soluzioni all-in-one per e-commerce offrono questa possibilità, ma ho voluto essere sicuro che tutto fosse davvero a norma e funzionante. 3. Ho comunicato chiaramente le opzioni ai clienti Spesso si sottovaluta questo aspetto, ma ho imparato che far sapere al cliente quali metodi può usare aumenta la fiducia e riduce l’abbandono del carrello. Ho inserito icone e testi chiari sulle pagine di checkout e FAQ. 4. Ho monitorato i tassi di conversione e abbandono Dopo aver integrato i metodi, ho tenuto sotto controllo i dati per capire: -Quali metodi usano di più i clienti -Se qualche metodo causa problemi o rallentamenti -Se ci sono differenze tra device (desktop vs mobile) -Così ho potuto ottimizzare continuamente. 5. Ho curato sicurezza e conformità Non potevo dimenticare la sicurezza: i metodi di pagamento devono essere conformi a normative come PSD2 in Europa, e offrire protezione sia a me che al cliente. Ho scelto gateway che garantiscono crittografia e autenticazione forte. Adattarsi ai metodi di pagamento preferiti nel mercato locale è stato uno dei fattori chiave per espandere con successo il mio e-commerce all’estero. Offrire più opzioni, semplici e sicure, ha aumentato la fiducia dei clienti e ridotto gli abbandoni. Non basta vendere un prodotto: devi rendere l’acquisto il più facile possibile. #PagamentiDigitali #MetodiDiPagamento #EcommerceInternazionale #CrossBorderEcommerce #CheckoutSemplice #VendereAllEstero #PSD2 #GatewayPagamento #CustomerExperience #ImpresaDigitale
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  • Traduzione vs localizzazione: come ho adattato il mio sito ai mercati internazionali

    Quando ho deciso di vendere all’estero, la prima cosa che ho fatto è stata… tradurre il sito. Semplice, no? Peccato che, dopo settimane, le vendite estere non arrivavano. Avevo una bella versione in inglese, ma qualcosa non funzionava.
    È lì che ho capito la differenza tra traduzione e localizzazione. E soprattutto, perché la seconda è essenziale per far funzionare davvero un e-commerce cross-border.
    Oggi ti spiego come ho fatto a trasformare un sito “tradotto” in un sito che parla davvero ai clienti internazionali.

    1. La lingua non basta: serve il tono giusto
    Le prime traduzioni erano corrette, ma fredde. I testi sembravano “copiati e incollati” da un dizionario. Ho capito che ogni Paese ha un suo tono di voce, un modo diverso di comunicare fiducia, urgenza, convenienza.
    Oggi collaboro con traduttori madrelingua specializzati in e-commerce, che sanno anche adattare espressioni, battute e CTA alla cultura locale. Questo ha aumentato le conversioni.

    2. Ho adattato la valuta e i metodi di pagamento
    Mostrare i prezzi in euro a un cliente americano? Sbagliato. O chiedere a un cliente tedesco di pagare solo con carta? Limite enorme.
    La localizzazione significa anche questo: mostrare i prezzi nella valuta locale e offrire i metodi di pagamento più usati nel Paese di destinazione.

    Risultato? Meno abbandoni nel carrello e più fiducia.

    3. Ho sistemato formati e dettagli “invisibili”
    Cose che sembrano piccole ma fanno la differenza:
    -Formati data (es. 25/05/2025 vs 05/25/2025)
    -Unità di misura (grammi vs once, centimetri vs pollici)
    -Layout di checkout adattato alle abitudini locali
    Questi elementi migliorano l’esperienza utente e riducono la confusione (e i resi).

    4. Ho rivisto le immagini e i messaggi culturali
    Alcune immagini “funzionavano” nel mio mercato, ma sembravano fuori contesto altrove. Stesso discorso per alcune offerte promozionali: certe festività o simboli non significano nulla per chi vive in un altro continente.
    Ho imparato a usare contenuti visivi e messaggi rilevanti per ogni mercato, senza dare nulla per scontato.

    5. Ho localizzato anche il customer care
    Non basta vendere: bisogna saper rispondere. Ho introdotto:
    -FAQ tradotte e adattate
    -Email di assistenza in lingua
    -Risposte automatiche personalizzate per lingua
    Anche il post-vendita dev’essere localizzato, non solo il sito.

    La traduzione è un punto di partenza, ma è solo con la localizzazione che un e-commerce può davvero aprirsi ai mercati internazionali. Ho imparato che parlare la lingua del cliente significa molto più che tradurre parole: significa capire la sua cultura, le sue abitudini e offrirgli un’esperienza su misura.
    Ed è lì che cominciano davvero le vendite.

    #LocalizzazioneEcommerce #TraduzioneVsLocalizzazione #VenditeInternazionali #UXGlobale #CrossBorderEcommerce #StrategiaDigitale #CustomerExperience #EcommerceInternazionale #CrescitaOnline #ImpresaDigitale

    Traduzione vs localizzazione: come ho adattato il mio sito ai mercati internazionali Quando ho deciso di vendere all’estero, la prima cosa che ho fatto è stata… tradurre il sito. Semplice, no? Peccato che, dopo settimane, le vendite estere non arrivavano. Avevo una bella versione in inglese, ma qualcosa non funzionava. È lì che ho capito la differenza tra traduzione e localizzazione. E soprattutto, perché la seconda è essenziale per far funzionare davvero un e-commerce cross-border. Oggi ti spiego come ho fatto a trasformare un sito “tradotto” in un sito che parla davvero ai clienti internazionali. 1. La lingua non basta: serve il tono giusto Le prime traduzioni erano corrette, ma fredde. I testi sembravano “copiati e incollati” da un dizionario. Ho capito che ogni Paese ha un suo tono di voce, un modo diverso di comunicare fiducia, urgenza, convenienza. Oggi collaboro con traduttori madrelingua specializzati in e-commerce, che sanno anche adattare espressioni, battute e CTA alla cultura locale. Questo ha aumentato le conversioni. 2. Ho adattato la valuta e i metodi di pagamento Mostrare i prezzi in euro a un cliente americano? Sbagliato. O chiedere a un cliente tedesco di pagare solo con carta? Limite enorme. La localizzazione significa anche questo: mostrare i prezzi nella valuta locale e offrire i metodi di pagamento più usati nel Paese di destinazione. Risultato? Meno abbandoni nel carrello e più fiducia. 3. Ho sistemato formati e dettagli “invisibili” Cose che sembrano piccole ma fanno la differenza: -Formati data (es. 25/05/2025 vs 05/25/2025) -Unità di misura (grammi vs once, centimetri vs pollici) -Layout di checkout adattato alle abitudini locali Questi elementi migliorano l’esperienza utente e riducono la confusione (e i resi). 4. Ho rivisto le immagini e i messaggi culturali Alcune immagini “funzionavano” nel mio mercato, ma sembravano fuori contesto altrove. Stesso discorso per alcune offerte promozionali: certe festività o simboli non significano nulla per chi vive in un altro continente. Ho imparato a usare contenuti visivi e messaggi rilevanti per ogni mercato, senza dare nulla per scontato. 5. Ho localizzato anche il customer care Non basta vendere: bisogna saper rispondere. Ho introdotto: -FAQ tradotte e adattate -Email di assistenza in lingua -Risposte automatiche personalizzate per lingua Anche il post-vendita dev’essere localizzato, non solo il sito. La traduzione è un punto di partenza, ma è solo con la localizzazione che un e-commerce può davvero aprirsi ai mercati internazionali. Ho imparato che parlare la lingua del cliente significa molto più che tradurre parole: significa capire la sua cultura, le sue abitudini e offrirgli un’esperienza su misura. Ed è lì che cominciano davvero le vendite. #LocalizzazioneEcommerce #TraduzioneVsLocalizzazione #VenditeInternazionali #UXGlobale #CrossBorderEcommerce #StrategiaDigitale #CustomerExperience #EcommerceInternazionale #CrescitaOnline #ImpresaDigitale
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