Traduzione vs localizzazione: come ho adattato il mio sito ai mercati internazionali
Quando ho deciso di vendere all’estero, la prima cosa che ho fatto è stata… tradurre il sito. Semplice, no? Peccato che, dopo settimane, le vendite estere non arrivavano. Avevo una bella versione in inglese, ma qualcosa non funzionava.
È lì che ho capito la differenza tra traduzione e localizzazione. E soprattutto, perché la seconda è essenziale per far funzionare davvero un e-commerce cross-border.
Oggi ti spiego come ho fatto a trasformare un sito “tradotto” in un sito che parla davvero ai clienti internazionali.
1. La lingua non basta: serve il tono giusto
Le prime traduzioni erano corrette, ma fredde. I testi sembravano “copiati e incollati” da un dizionario. Ho capito che ogni Paese ha un suo tono di voce, un modo diverso di comunicare fiducia, urgenza, convenienza.
Oggi collaboro con traduttori madrelingua specializzati in e-commerce, che sanno anche adattare espressioni, battute e CTA alla cultura locale. Questo ha aumentato le conversioni.
2. Ho adattato la valuta e i metodi di pagamento
Mostrare i prezzi in euro a un cliente americano? Sbagliato. O chiedere a un cliente tedesco di pagare solo con carta? Limite enorme.
La localizzazione significa anche questo: mostrare i prezzi nella valuta locale e offrire i metodi di pagamento più usati nel Paese di destinazione.
Risultato? Meno abbandoni nel carrello e più fiducia.
3. Ho sistemato formati e dettagli “invisibili”
Cose che sembrano piccole ma fanno la differenza:
-Formati data (es. 25/05/2025 vs 05/25/2025)
-Unità di misura (grammi vs once, centimetri vs pollici)
-Layout di checkout adattato alle abitudini locali
Questi elementi migliorano l’esperienza utente e riducono la confusione (e i resi).
4. Ho rivisto le immagini e i messaggi culturali
Alcune immagini “funzionavano” nel mio mercato, ma sembravano fuori contesto altrove. Stesso discorso per alcune offerte promozionali: certe festività o simboli non significano nulla per chi vive in un altro continente.
Ho imparato a usare contenuti visivi e messaggi rilevanti per ogni mercato, senza dare nulla per scontato.
5. Ho localizzato anche il customer care
Non basta vendere: bisogna saper rispondere. Ho introdotto:
-FAQ tradotte e adattate
-Email di assistenza in lingua
-Risposte automatiche personalizzate per lingua
Anche il post-vendita dev’essere localizzato, non solo il sito.
La traduzione è un punto di partenza, ma è solo con la localizzazione che un e-commerce può davvero aprirsi ai mercati internazionali. Ho imparato che parlare la lingua del cliente significa molto più che tradurre parole: significa capire la sua cultura, le sue abitudini e offrirgli un’esperienza su misura.
Ed è lì che cominciano davvero le vendite.
#LocalizzazioneEcommerce #TraduzioneVsLocalizzazione #VenditeInternazionali #UXGlobale #CrossBorderEcommerce #StrategiaDigitale #CustomerExperience #EcommerceInternazionale #CrescitaOnline #ImpresaDigitale
Quando ho deciso di vendere all’estero, la prima cosa che ho fatto è stata… tradurre il sito. Semplice, no? Peccato che, dopo settimane, le vendite estere non arrivavano. Avevo una bella versione in inglese, ma qualcosa non funzionava.
È lì che ho capito la differenza tra traduzione e localizzazione. E soprattutto, perché la seconda è essenziale per far funzionare davvero un e-commerce cross-border.
Oggi ti spiego come ho fatto a trasformare un sito “tradotto” in un sito che parla davvero ai clienti internazionali.
1. La lingua non basta: serve il tono giusto
Le prime traduzioni erano corrette, ma fredde. I testi sembravano “copiati e incollati” da un dizionario. Ho capito che ogni Paese ha un suo tono di voce, un modo diverso di comunicare fiducia, urgenza, convenienza.
Oggi collaboro con traduttori madrelingua specializzati in e-commerce, che sanno anche adattare espressioni, battute e CTA alla cultura locale. Questo ha aumentato le conversioni.
2. Ho adattato la valuta e i metodi di pagamento
Mostrare i prezzi in euro a un cliente americano? Sbagliato. O chiedere a un cliente tedesco di pagare solo con carta? Limite enorme.
La localizzazione significa anche questo: mostrare i prezzi nella valuta locale e offrire i metodi di pagamento più usati nel Paese di destinazione.
Risultato? Meno abbandoni nel carrello e più fiducia.
3. Ho sistemato formati e dettagli “invisibili”
Cose che sembrano piccole ma fanno la differenza:
-Formati data (es. 25/05/2025 vs 05/25/2025)
-Unità di misura (grammi vs once, centimetri vs pollici)
-Layout di checkout adattato alle abitudini locali
Questi elementi migliorano l’esperienza utente e riducono la confusione (e i resi).
4. Ho rivisto le immagini e i messaggi culturali
Alcune immagini “funzionavano” nel mio mercato, ma sembravano fuori contesto altrove. Stesso discorso per alcune offerte promozionali: certe festività o simboli non significano nulla per chi vive in un altro continente.
Ho imparato a usare contenuti visivi e messaggi rilevanti per ogni mercato, senza dare nulla per scontato.
5. Ho localizzato anche il customer care
Non basta vendere: bisogna saper rispondere. Ho introdotto:
-FAQ tradotte e adattate
-Email di assistenza in lingua
-Risposte automatiche personalizzate per lingua
Anche il post-vendita dev’essere localizzato, non solo il sito.
La traduzione è un punto di partenza, ma è solo con la localizzazione che un e-commerce può davvero aprirsi ai mercati internazionali. Ho imparato che parlare la lingua del cliente significa molto più che tradurre parole: significa capire la sua cultura, le sue abitudini e offrirgli un’esperienza su misura.
Ed è lì che cominciano davvero le vendite.
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Traduzione vs localizzazione: come ho adattato il mio sito ai mercati internazionali
Quando ho deciso di vendere all’estero, la prima cosa che ho fatto è stata… tradurre il sito. Semplice, no? Peccato che, dopo settimane, le vendite estere non arrivavano. Avevo una bella versione in inglese, ma qualcosa non funzionava.
È lì che ho capito la differenza tra traduzione e localizzazione. E soprattutto, perché la seconda è essenziale per far funzionare davvero un e-commerce cross-border.
Oggi ti spiego come ho fatto a trasformare un sito “tradotto” in un sito che parla davvero ai clienti internazionali.
1. La lingua non basta: serve il tono giusto
Le prime traduzioni erano corrette, ma fredde. I testi sembravano “copiati e incollati” da un dizionario. Ho capito che ogni Paese ha un suo tono di voce, un modo diverso di comunicare fiducia, urgenza, convenienza.
Oggi collaboro con traduttori madrelingua specializzati in e-commerce, che sanno anche adattare espressioni, battute e CTA alla cultura locale. Questo ha aumentato le conversioni.
2. Ho adattato la valuta e i metodi di pagamento
Mostrare i prezzi in euro a un cliente americano? Sbagliato. O chiedere a un cliente tedesco di pagare solo con carta? Limite enorme.
La localizzazione significa anche questo: mostrare i prezzi nella valuta locale e offrire i metodi di pagamento più usati nel Paese di destinazione.
Risultato? Meno abbandoni nel carrello e più fiducia.
3. Ho sistemato formati e dettagli “invisibili”
Cose che sembrano piccole ma fanno la differenza:
-Formati data (es. 25/05/2025 vs 05/25/2025)
-Unità di misura (grammi vs once, centimetri vs pollici)
-Layout di checkout adattato alle abitudini locali
Questi elementi migliorano l’esperienza utente e riducono la confusione (e i resi).
4. Ho rivisto le immagini e i messaggi culturali
Alcune immagini “funzionavano” nel mio mercato, ma sembravano fuori contesto altrove. Stesso discorso per alcune offerte promozionali: certe festività o simboli non significano nulla per chi vive in un altro continente.
Ho imparato a usare contenuti visivi e messaggi rilevanti per ogni mercato, senza dare nulla per scontato.
5. Ho localizzato anche il customer care
Non basta vendere: bisogna saper rispondere. Ho introdotto:
-FAQ tradotte e adattate
-Email di assistenza in lingua
-Risposte automatiche personalizzate per lingua
Anche il post-vendita dev’essere localizzato, non solo il sito.
La traduzione è un punto di partenza, ma è solo con la localizzazione che un e-commerce può davvero aprirsi ai mercati internazionali. Ho imparato che parlare la lingua del cliente significa molto più che tradurre parole: significa capire la sua cultura, le sue abitudini e offrirgli un’esperienza su misura.
Ed è lì che cominciano davvero le vendite.
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