• Bandi e incentivi per l’e-commerce internazionale: panoramica 2025
    Da operatore e-commerce che ha affrontato l’internazionalizzazione, posso dire con certezza che uno degli aspetti più utili per crescere all’estero è stato cogliere le opportunità di bandi e incentivi pubblici e privati.

    Nel 2025 ci sono diverse possibilità per PMI italiane che vogliono espandere il proprio shop online oltre confine, e oggi voglio condividere una panoramica aggiornata su cosa c’è, come funziona e come approfittarne.

    1. Bandi regionali e nazionali per export digitale
    -Diverse regioni italiane, insieme a ICE Agenzia e Ministero dello Sviluppo Economico, offrono finanziamenti dedicati all’internazionalizzazione digitale.
    -Voucher digitali per l’internazionalizzazione: contributi a fondo perduto fino al 50-70% per consulenze, piattaforme e marketing estero.
    -Bando Nuova Impresa Internazionale: per startup e PMI con progetti di espansione commerciale all’estero.
    -Finanziamenti per fiere e marketplace esteri: contributi per partecipazione a eventi e ingresso su piattaforme globali.
    Ti consiglio di controllare periodicamente i siti della tua regione e ICE, perché i bandi cambiano spesso.

    2. Incentivi UE per il commercio elettronico
    L’Unione Europea sostiene l’export digitale con diverse linee di finanziamento, spesso gestite attraverso programmi come:
    -COSME: per supportare la competitività delle PMI.
    -Digital Europe Programme: per innovazione digitale e cybersecurity.
    -Horizon Europe: per progetti innovativi legati a tech e sostenibilità.
    Questi bandi possono finanziare anche progetti di internazionalizzazione e-commerce, specialmente se integrati da tecnologie avanzate (es. AI, realtà aumentata).

    3. Incentivi per la digitalizzazione e logistica
    Alcuni bandi si focalizzano su miglioramenti tecnologici e logistici, ad esempio:
    -Software di gestione multilingua e multi-valuta
    -Sistemi di CRM e customer care multilingue
    -Magazzini e fulfillment center in Europa per ridurre tempi e costi
    Questo tipo di investimenti può essere coperto in parte dai contributi previsti nei bandi nazionali e regionali.

    4. Come prepararsi per candidarsi con successo
    Da chi ha vissuto queste esperienze, ecco qualche consiglio pratico:
    -Documenta bene il progetto, con obiettivi chiari e numeri realistici
    -Se possibile, coinvolgi un consulente specializzato in fondi europei o incentivi pubblici
    -Metti in evidenza l’impatto sul territorio (occupazione, crescita PMI)
    -Prepara un budget dettagliato e sostenibile
    -Rispetta le scadenze e prepara tutta la documentazione richiesta (DURC, visure, fatture, ecc.)

    5. Dove informarsi
    -ICE Agenzia (ice.it) — aggiornamenti e sportelli per l’internazionalizzazione
    -Ministero dello Sviluppo Economico (mise.gov.it) — bandi e incentivi nazionali
    -Sito della tua Regione — bandi locali e servizi per le PMI
    -Portali europei come fundingbox.com o europa.eu
    Se vuoi internazionalizzare il tuo e-commerce, non sottovalutare la forza dei bandi e incentivi 2025: sono una leva concreta per accelerare e contenere i costi.

    Ti consiglio di monitorarli con attenzione e di prepararti con cura, perché la competizione è alta ma le opportunità ci sono, soprattutto per chi ha un progetto solido e ben strutturato.

    #IncentiviEcommerce #Bandi2025 #ExportDigitale #PMIitaliane #Internazionalizzazione #MadeInItaly #EcommerceExport #DigitalExport #FondiEuropei #MarketplaceInternazionale

    Bandi e incentivi per l’e-commerce internazionale: panoramica 2025 Da operatore e-commerce che ha affrontato l’internazionalizzazione, posso dire con certezza che uno degli aspetti più utili per crescere all’estero è stato cogliere le opportunità di bandi e incentivi pubblici e privati. Nel 2025 ci sono diverse possibilità per PMI italiane che vogliono espandere il proprio shop online oltre confine, e oggi voglio condividere una panoramica aggiornata su cosa c’è, come funziona e come approfittarne. 💶 1. Bandi regionali e nazionali per export digitale -Diverse regioni italiane, insieme a ICE Agenzia e Ministero dello Sviluppo Economico, offrono finanziamenti dedicati all’internazionalizzazione digitale. -Voucher digitali per l’internazionalizzazione: contributi a fondo perduto fino al 50-70% per consulenze, piattaforme e marketing estero. -Bando Nuova Impresa Internazionale: per startup e PMI con progetti di espansione commerciale all’estero. -Finanziamenti per fiere e marketplace esteri: contributi per partecipazione a eventi e ingresso su piattaforme globali. 📌 Ti consiglio di controllare periodicamente i siti della tua regione e ICE, perché i bandi cambiano spesso. 🌐 2. Incentivi UE per il commercio elettronico L’Unione Europea sostiene l’export digitale con diverse linee di finanziamento, spesso gestite attraverso programmi come: -COSME: per supportare la competitività delle PMI. -Digital Europe Programme: per innovazione digitale e cybersecurity. -Horizon Europe: per progetti innovativi legati a tech e sostenibilità. Questi bandi possono finanziare anche progetti di internazionalizzazione e-commerce, specialmente se integrati da tecnologie avanzate (es. AI, realtà aumentata). 🚀 3. Incentivi per la digitalizzazione e logistica Alcuni bandi si focalizzano su miglioramenti tecnologici e logistici, ad esempio: -Software di gestione multilingua e multi-valuta -Sistemi di CRM e customer care multilingue -Magazzini e fulfillment center in Europa per ridurre tempi e costi Questo tipo di investimenti può essere coperto in parte dai contributi previsti nei bandi nazionali e regionali. 📋 4. Come prepararsi per candidarsi con successo Da chi ha vissuto queste esperienze, ecco qualche consiglio pratico: -Documenta bene il progetto, con obiettivi chiari e numeri realistici -Se possibile, coinvolgi un consulente specializzato in fondi europei o incentivi pubblici -Metti in evidenza l’impatto sul territorio (occupazione, crescita PMI) -Prepara un budget dettagliato e sostenibile -Rispetta le scadenze e prepara tutta la documentazione richiesta (DURC, visure, fatture, ecc.) 🔍 5. Dove informarsi -ICE Agenzia (ice.it) — aggiornamenti e sportelli per l’internazionalizzazione -Ministero dello Sviluppo Economico (mise.gov.it) — bandi e incentivi nazionali -Sito della tua Regione — bandi locali e servizi per le PMI -Portali europei come fundingbox.com o europa.eu Se vuoi internazionalizzare il tuo e-commerce, non sottovalutare la forza dei bandi e incentivi 2025: sono una leva concreta per accelerare e contenere i costi. Ti consiglio di monitorarli con attenzione e di prepararti con cura, perché la competizione è alta ma le opportunità ci sono, soprattutto per chi ha un progetto solido e ben strutturato. #IncentiviEcommerce #Bandi2025 #ExportDigitale #PMIitaliane #Internazionalizzazione #MadeInItaly #EcommerceExport #DigitalExport #FondiEuropei #MarketplaceInternazionale
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  • SEO internazionale per e-commerce: come farsi trovare nei motori di ricerca stranieri

    Quando ho iniziato a vendere all’estero con il mio e-commerce, credevo che bastasse tradurre il sito per essere trovabile anche da Google in Germania, Francia o Spagna. In realtà, ho scoperto che la SEO internazionale è molto più di una traduzione: è strategia, struttura e localizzazione.

    Dopo test, errori e consulenze (anche costose…), ho messo a punto un sistema per rendere visibile il mio shop sui motori di ricerca esteri. Ecco cosa ho imparato.

    1. Scegliere la giusta struttura internazionale del sito
    Il primo bivio è tecnico: come organizzare il sito per i mercati esteri?
    -ccTLD (es. sito.fr, sito.de) → ideale per mercati con alto traffico e potenziale, ma richiede più gestione.
    -Subdirectory (es. sito.com/fr/) → la scelta più comune, SEO-friendly e facile da mantenere.
    -Subdomain (es. fr.sito.com) → possibile, ma più debole a livello SEO rispetto alle subdirectory.
    Io ho scelto subdirectory, perché mantengono l’autorità del dominio principale e sono più facili da gestire con CMS come Shopify o WordPress.

    2. Tradurre? No: localizzare i contenuti
    La SEO internazionale non perdona le traduzioni automatiche. Google in ogni Paese premia contenuti ottimizzati per la lingua e la cultura locale.
    -Ho fatto tradurre i testi da copywriter madrelingua.
    -Ho fatto ricerche keyword specifiche per ogni Paese con strumenti come Semrush, Ubersuggest, Ahrefs e Google Trends.
    -Ho adattato URL, meta tag, H1 e ALT text in ogni lingua.
    La parola “calzature artigianali” in Italia diventa “handmade leather shoes” in UK e “chaussures en cuir fait main” in Francia — ma cambia anche il tono.

    3. Segnali per Google: hreflang e geotargeting
    Per evitare che Google confonda le versioni internazionali del mio sito (e non mostri quella giusta), ho usato il tag hreflang.
    Ho anche impostato il target geografico in Google Search Console per ogni versione del sito.
    Senza hreflang, Google può mostrare la versione italiana a un cliente tedesco… e addio conversione.

    4. SEO mobile e velocità: priorità globale
    In molti mercati, oltre il 70% delle ricerche arriva da smartphone. Ho lavorato per:
    -Ottimizzare le performance mobile
    -Ridurre il tempo di caricamento (<2 secondi)
    -Usare AMP o versioni leggere per le pagine prodotto
    Google considera la velocità e la user experience anche nella versione estera: non trascurarla!

    5. Backlink locali = autorità locale
    Per far salire le pagine nelle SERP estere, serve link building specifica per ogni Paese. Come?
    -Collaborazioni con blogger o media locali
    -Guest post su siti di settore
    -Inserzioni su portali locali o marketplace (che portano anche link)
    Non basta avere link italiani: per posizionarsi in Francia, servono link francesi, da siti con dominio .fr.

    Checklist base per partire con la SEO internazionale:
    Cosa Azione consigliata
    Struttura sito Usa subdirectory o ccTLD
    Traduzioni Affidati a madrelingua + keyword
    hreflang Implementa correttamente per ogni lingua
    Search Console Imposta targeting geografico
    Velocità mobile Ottimizza caricamento e UX
    Backlink locali Crea relazioni e link nel Paese target

    La SEO internazionale non è un extra: è una delle leve più potenti per vendere davvero online all’estero. Ma serve metodo, pazienza e adattamento. Tradurre è solo il punto di partenza: per farsi trovare, bisogna farsi capire, farsi apprezzare e farsi cercare.

    #SEOInternazionale #EcommerceExport #PMIitaliane #DigitalExport #LocalizzazioneSEO #CrossBorderEcommerce #MadeInItalyOnline #SearchMarketing #InternazionalizzazioneEcommerce
    SEO internazionale per e-commerce: come farsi trovare nei motori di ricerca stranieri Quando ho iniziato a vendere all’estero con il mio e-commerce, credevo che bastasse tradurre il sito per essere trovabile anche da Google in Germania, Francia o Spagna. In realtà, ho scoperto che la SEO internazionale è molto più di una traduzione: è strategia, struttura e localizzazione. Dopo test, errori e consulenze (anche costose…), ho messo a punto un sistema per rendere visibile il mio shop sui motori di ricerca esteri. Ecco cosa ho imparato. 🌍 1. Scegliere la giusta struttura internazionale del sito Il primo bivio è tecnico: come organizzare il sito per i mercati esteri? -ccTLD (es. sito.fr, sito.de) → ideale per mercati con alto traffico e potenziale, ma richiede più gestione. -Subdirectory (es. sito.com/fr/) → la scelta più comune, SEO-friendly e facile da mantenere. -Subdomain (es. fr.sito.com) → possibile, ma più debole a livello SEO rispetto alle subdirectory. 📌 Io ho scelto subdirectory, perché mantengono l’autorità del dominio principale e sono più facili da gestire con CMS come Shopify o WordPress. 🗣️ 2. Tradurre? No: localizzare i contenuti La SEO internazionale non perdona le traduzioni automatiche. Google in ogni Paese premia contenuti ottimizzati per la lingua e la cultura locale. -Ho fatto tradurre i testi da copywriter madrelingua. -Ho fatto ricerche keyword specifiche per ogni Paese con strumenti come Semrush, Ubersuggest, Ahrefs e Google Trends. -Ho adattato URL, meta tag, H1 e ALT text in ogni lingua. 📌 La parola “calzature artigianali” in Italia diventa “handmade leather shoes” in UK e “chaussures en cuir fait main” in Francia — ma cambia anche il tono. 🔍 3. Segnali per Google: hreflang e geotargeting Per evitare che Google confonda le versioni internazionali del mio sito (e non mostri quella giusta), ho usato il tag hreflang. ✅ Ho anche impostato il target geografico in Google Search Console per ogni versione del sito. 📌 Senza hreflang, Google può mostrare la versione italiana a un cliente tedesco… e addio conversione. 📱 4. SEO mobile e velocità: priorità globale In molti mercati, oltre il 70% delle ricerche arriva da smartphone. Ho lavorato per: -Ottimizzare le performance mobile -Ridurre il tempo di caricamento (<2 secondi) -Usare AMP o versioni leggere per le pagine prodotto 📌 Google considera la velocità e la user experience anche nella versione estera: non trascurarla! 🔗 5. Backlink locali = autorità locale Per far salire le pagine nelle SERP estere, serve link building specifica per ogni Paese. Come? -Collaborazioni con blogger o media locali -Guest post su siti di settore -Inserzioni su portali locali o marketplace (che portano anche link) 📌 Non basta avere link italiani: per posizionarsi in Francia, servono link francesi, da siti con dominio .fr. 🎯 Checklist base per partire con la SEO internazionale: Cosa Azione consigliata Struttura sito Usa subdirectory o ccTLD Traduzioni Affidati a madrelingua + keyword hreflang Implementa correttamente per ogni lingua Search Console Imposta targeting geografico Velocità mobile Ottimizza caricamento e UX Backlink locali Crea relazioni e link nel Paese target La SEO internazionale non è un extra: è una delle leve più potenti per vendere davvero online all’estero. Ma serve metodo, pazienza e adattamento. Tradurre è solo il punto di partenza: per farsi trovare, bisogna farsi capire, farsi apprezzare e farsi cercare. #SEOInternazionale #EcommerceExport #PMIitaliane #DigitalExport #LocalizzazioneSEO #CrossBorderEcommerce #MadeInItalyOnline #SearchMarketing #InternazionalizzazioneEcommerce
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  • Come usare il remarketing per aumentare le vendite cross-border

    Quando ho iniziato a vendere all’estero con il mio e-commerce, ho capito subito che attirare visitatori non bastava: dovevo convincerli a tornare e completare l’acquisto. Ed è qui che il remarketing è diventato uno strumento fondamentale, soprattutto nei mercati internazionali.
    Il remarketing, infatti, mi ha permesso di mantenere viva l’attenzione dei potenziali clienti, personalizzare la comunicazione e superare le diffidenze tipiche degli acquisti cross-border.
    Ecco come uso il remarketing per aumentare le vendite fuori dall’Italia.

    1. Segmentare il pubblico per Paese e comportamento
    Il primo passo è capire chi stiamo rincorrendo.
    In GA4 e nelle piattaforme Ads (Google Ads, Meta Ads), creo segmenti separati per:
    -Visitatori che hanno visto prodotti ma non hanno aggiunto al carrello
    -Chi ha abbandonato il carrello
    -Chi ha visitato pagine chiave senza comprare
    -Utenti che hanno già acquistato (per campagne di upsell o cross-sell)
    Per ogni segmento, inoltre, filtro per Paese o lingua, così da personalizzare i messaggi in base al mercato.

    2. Adattare i messaggi e le offerte al mercato locale
    Un messaggio generico non funziona quasi mai, specie all’estero.
    Io preparo creatività, testi e offerte pensate per ciascun Paese, rispettando:
    -Lingua e cultura locale
    -Modalità di pagamento preferite
    -Eventi o festività specifiche
    Per esempio, in Spagna promuovo sconti legati a feste locali, mentre in UK spingo molto sulle garanzie e sulla sicurezza dell’acquisto.

    3. Utilizzare diversi canali di remarketing
    Non mi limito mai a un solo canale.
    Uso Facebook e Instagram per raggiungere il pubblico social, Google Display Network per visibilità su siti terzi, e persino campagne su YouTube per catturare l’attenzione con video brevi.
    In più, spesso integro con email marketing per chi ha già fornito il contatto, creando un ciclo di comunicazione più efficace.

    4. Testare frequenze e tempi di esposizione
    All’estero, il ciclo d’acquisto può essere più lungo.
    Ho imparato a modulare la frequenza degli annunci per evitare di “stancare” l’utente, mantenendo però alta la brand awareness.
    Per esempio, in mercati dove la fiducia è più lenta a consolidarsi (come in alcune aree dell’Est Europa), lascio attive le campagne di remarketing per 30 giorni, mentre in mercati più “veloci” (come Scandinavia) preferisco periodi più brevi.

    5. Monitorare e ottimizzare costantemente
    Infine, nessuna strategia funziona senza dati.
    Controllo regolarmente metriche come CTR, conversion rate, ROAS per ogni segmento e mercato.
    Se una campagna non funziona, la modifico o la interrompo.
    Se invece funziona, aumento il budget e sperimento nuovi contenuti.

    Il remarketing è diventato per me uno strumento imprescindibile per vendere all’estero, perché permette di mantenere viva la relazione con il cliente e aumentare significativamente le conversioni cross-border.

    Se vuoi espandere il tuo e-commerce oltre confine, ti consiglio di investire in campagne di remarketing ben segmentate e personalizzate per ogni mercato.

    Vuoi un aiuto per creare la tua strategia di remarketing internazionale?
    Scrivimi, ti supporto con consigli pratici e operativi.

    #Remarketing #VenditeInternazionali #EcommerceExport #CrossBorderSelling #MarketingDigitale #GoogleAds #MetaAds #StrategieEcommerce #CustomerJourney #PMIExport

    Come usare il remarketing per aumentare le vendite cross-border Quando ho iniziato a vendere all’estero con il mio e-commerce, ho capito subito che attirare visitatori non bastava: dovevo convincerli a tornare e completare l’acquisto. Ed è qui che il remarketing è diventato uno strumento fondamentale, soprattutto nei mercati internazionali. Il remarketing, infatti, mi ha permesso di mantenere viva l’attenzione dei potenziali clienti, personalizzare la comunicazione e superare le diffidenze tipiche degli acquisti cross-border. Ecco come uso il remarketing per aumentare le vendite fuori dall’Italia. 1. Segmentare il pubblico per Paese e comportamento Il primo passo è capire chi stiamo rincorrendo. In GA4 e nelle piattaforme Ads (Google Ads, Meta Ads), creo segmenti separati per: -Visitatori che hanno visto prodotti ma non hanno aggiunto al carrello -Chi ha abbandonato il carrello -Chi ha visitato pagine chiave senza comprare -Utenti che hanno già acquistato (per campagne di upsell o cross-sell) Per ogni segmento, inoltre, filtro per Paese o lingua, così da personalizzare i messaggi in base al mercato. 2. Adattare i messaggi e le offerte al mercato locale Un messaggio generico non funziona quasi mai, specie all’estero. Io preparo creatività, testi e offerte pensate per ciascun Paese, rispettando: -Lingua e cultura locale -Modalità di pagamento preferite -Eventi o festività specifiche Per esempio, in Spagna promuovo sconti legati a feste locali, mentre in UK spingo molto sulle garanzie e sulla sicurezza dell’acquisto. 3. Utilizzare diversi canali di remarketing Non mi limito mai a un solo canale. Uso Facebook e Instagram per raggiungere il pubblico social, Google Display Network per visibilità su siti terzi, e persino campagne su YouTube per catturare l’attenzione con video brevi. In più, spesso integro con email marketing per chi ha già fornito il contatto, creando un ciclo di comunicazione più efficace. 4. Testare frequenze e tempi di esposizione All’estero, il ciclo d’acquisto può essere più lungo. Ho imparato a modulare la frequenza degli annunci per evitare di “stancare” l’utente, mantenendo però alta la brand awareness. Per esempio, in mercati dove la fiducia è più lenta a consolidarsi (come in alcune aree dell’Est Europa), lascio attive le campagne di remarketing per 30 giorni, mentre in mercati più “veloci” (come Scandinavia) preferisco periodi più brevi. 5. Monitorare e ottimizzare costantemente Infine, nessuna strategia funziona senza dati. Controllo regolarmente metriche come CTR, conversion rate, ROAS per ogni segmento e mercato. Se una campagna non funziona, la modifico o la interrompo. Se invece funziona, aumento il budget e sperimento nuovi contenuti. ✅ Il remarketing è diventato per me uno strumento imprescindibile per vendere all’estero, perché permette di mantenere viva la relazione con il cliente e aumentare significativamente le conversioni cross-border. Se vuoi espandere il tuo e-commerce oltre confine, ti consiglio di investire in campagne di remarketing ben segmentate e personalizzate per ogni mercato. ✉️ Vuoi un aiuto per creare la tua strategia di remarketing internazionale? Scrivimi, ti supporto con consigli pratici e operativi. 📌#Remarketing #VenditeInternazionali #EcommerceExport #CrossBorderSelling #MarketingDigitale #GoogleAds #MetaAds #StrategieEcommerce #CustomerJourney #PMIExport
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  • Internazionalizzazione e ROAS: come calcolare il ritorno delle campagne all’estero

    Quando ho iniziato a investire in campagne digitali fuori dall’Italia, mi aspettavo che i numeri parlassero chiaro, come sempre. Invece ho scoperto che il ROAS (Return On Advertising Spend), all’estero, è tutt’altra storia rispetto al mercato nazionale.
    Non basta più fare “entrate ÷ spesa pubblicitaria”. Bisogna capire quanto costa davvero acquisire un cliente estero, quanto rende nel tempo e, soprattutto, quali fattori influenzano il ritorno sull’investimento in ogni singolo mercato.
    Ecco come oggi analizzo e interpreto il ROAS internazionale per capire se le mie campagne funzionano davvero.

    1. Il ROAS da solo non basta
    All’inizio guardavo solo il classico:
    ROAS = Ricavi generati ÷ Spesa pubblicitaria
    Se era superiore a 3, mi sentivo tranquillo.
    Ma poi ho capito che, per l’estero, serviva una lettura più strategica:
    -Quanto ho speso in traduzioni/localizzazione?
    -Quanto ho pagato in commissioni extra per valute, dazi, gateway?
    -Qual è il margine effettivo per quel Paese?
    Un ROAS di 3 in Italia può essere ottimo, ma lo stesso ROAS in UK, con margini più bassi e costi più alti, può significare andare in perdita.

    2. Diversi mercati, diversi costi pubblicitari
    Una campagna Facebook in Italia mi costa molto meno rispetto agli Stati Uniti o alla Germania.
    La concorrenza pubblicitaria è più alta, i CPC salgono e il CAC (costo di acquisizione cliente) può raddoppiare.

    Quindi per ogni Paese io analizzo:
    -CPC e CPM medi
    -Tasso di conversione locale
    -Ordine medio per Paese
    -Frequenza di acquisto
    -E solo dopo calcolo un ROAS “intelligente”.

    3. Il valore del cliente nel tempo (LTV)
    Un cliente estero magari costa di più da acquisire, ma ha:
    -Un ordine medio più alto
    -Una maggiore fedeltà (in certi mercati nordici o anglosassoni)
    -Una propensione a comprare su abbonamento o ricorsivamente
    Quindi, io incrocio il ROAS con il Customer Lifetime Value: se la prima vendita ha un ROAS basso ma apre la porta a 3-4 acquisti futuri, può valere la pena investire lo stesso.

    4. ROAS di breve vs ROAS di lungo periodo
    Ho smesso di giudicare una campagna solo dopo una settimana.
    Oggi mi do almeno 30-45 giorni per analizzare:
    -Quanto tempo impiega il cliente a convertire?
    -Dopo quanti giorni (e quante visite) arriva il primo acquisto?
    -Il traffico freddo si trasforma in acquisto solo con remarketing?
    Molti mercati esteri richiedono più tempo e più fiducia per convertire.

    5. Tracciamento avanzato e analisi per Paese
    Uso strumenti come:
    -UTM personalizzati per tracciare campagne per Paese
    -Google Analytics 4 con segmenti geografici
    -Report ROAS multipaese su Meta e Google Ads
    Così vedo dove il budget è speso bene, dove serve ottimizzare, dove sto solo “pagando traffico”.

    Oggi il mio approccio al ROAS internazionale è molto più raffinato.
    Non guardo solo il ritorno immediato, ma tutto l’ecosistema del cliente estero: costi nascosti, valore nel tempo, differenze culturali, ciclo d’acquisto.

    Internazionalizzare vuol dire anche ripensare le metriche, con pazienza e consapevolezza. E a volte, un ROAS “basso” può essere la porta giusta per crescere.

    Vuoi costruire un modello di ROAS su misura per i tuoi mercati esteri?
    Scrivimi, ti aiuto a impostarlo con i dati reali del tuo e-commerce.

    #ROASInternazionale #EcommerceExport #DigitalExport #VendereAllEstero #FacebookAds #GoogleAds #StrategiaEcommerce #PMIExport #MarketingInternazionale #CustomerLTV #AnalisiCampagne

    Internazionalizzazione e ROAS: come calcolare il ritorno delle campagne all’estero Quando ho iniziato a investire in campagne digitali fuori dall’Italia, mi aspettavo che i numeri parlassero chiaro, come sempre. Invece ho scoperto che il ROAS (Return On Advertising Spend), all’estero, è tutt’altra storia rispetto al mercato nazionale. Non basta più fare “entrate ÷ spesa pubblicitaria”. Bisogna capire quanto costa davvero acquisire un cliente estero, quanto rende nel tempo e, soprattutto, quali fattori influenzano il ritorno sull’investimento in ogni singolo mercato. Ecco come oggi analizzo e interpreto il ROAS internazionale per capire se le mie campagne funzionano davvero. 1. Il ROAS da solo non basta All’inizio guardavo solo il classico: ROAS = Ricavi generati ÷ Spesa pubblicitaria Se era superiore a 3, mi sentivo tranquillo. Ma poi ho capito che, per l’estero, serviva una lettura più strategica: -Quanto ho speso in traduzioni/localizzazione? -Quanto ho pagato in commissioni extra per valute, dazi, gateway? -Qual è il margine effettivo per quel Paese? 👉 Un ROAS di 3 in Italia può essere ottimo, ma lo stesso ROAS in UK, con margini più bassi e costi più alti, può significare andare in perdita. 2. Diversi mercati, diversi costi pubblicitari Una campagna Facebook in Italia mi costa molto meno rispetto agli Stati Uniti o alla Germania. La concorrenza pubblicitaria è più alta, i CPC salgono e il CAC (costo di acquisizione cliente) può raddoppiare. Quindi per ogni Paese io analizzo: -CPC e CPM medi -Tasso di conversione locale -Ordine medio per Paese -Frequenza di acquisto -E solo dopo calcolo un ROAS “intelligente”. 3. Il valore del cliente nel tempo (LTV) Un cliente estero magari costa di più da acquisire, ma ha: -Un ordine medio più alto -Una maggiore fedeltà (in certi mercati nordici o anglosassoni) -Una propensione a comprare su abbonamento o ricorsivamente Quindi, io incrocio il ROAS con il Customer Lifetime Value: se la prima vendita ha un ROAS basso ma apre la porta a 3-4 acquisti futuri, può valere la pena investire lo stesso. 4. ROAS di breve vs ROAS di lungo periodo Ho smesso di giudicare una campagna solo dopo una settimana. Oggi mi do almeno 30-45 giorni per analizzare: -Quanto tempo impiega il cliente a convertire? -Dopo quanti giorni (e quante visite) arriva il primo acquisto? -Il traffico freddo si trasforma in acquisto solo con remarketing? Molti mercati esteri richiedono più tempo e più fiducia per convertire. 5. Tracciamento avanzato e analisi per Paese Uso strumenti come: -UTM personalizzati per tracciare campagne per Paese -Google Analytics 4 con segmenti geografici -Report ROAS multipaese su Meta e Google Ads Così vedo dove il budget è speso bene, dove serve ottimizzare, dove sto solo “pagando traffico”. ✅Oggi il mio approccio al ROAS internazionale è molto più raffinato. Non guardo solo il ritorno immediato, ma tutto l’ecosistema del cliente estero: costi nascosti, valore nel tempo, differenze culturali, ciclo d’acquisto. Internazionalizzare vuol dire anche ripensare le metriche, con pazienza e consapevolezza. E a volte, un ROAS “basso” può essere la porta giusta per crescere. ✉️ Vuoi costruire un modello di ROAS su misura per i tuoi mercati esteri? Scrivimi, ti aiuto a impostarlo con i dati reali del tuo e-commerce. 📌#ROASInternazionale #EcommerceExport #DigitalExport #VendereAllEstero #FacebookAds #GoogleAds #StrategiaEcommerce #PMIExport #MarketingInternazionale #CustomerLTV #AnalisiCampagne
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