Internazionalizzazione e ROAS: come calcolare il ritorno delle campagne all’estero
Quando ho iniziato a investire in campagne digitali fuori dall’Italia, mi aspettavo che i numeri parlassero chiaro, come sempre. Invece ho scoperto che il ROAS (Return On Advertising Spend), all’estero, è tutt’altra storia rispetto al mercato nazionale.
Non basta più fare “entrate ÷ spesa pubblicitaria”. Bisogna capire quanto costa davvero acquisire un cliente estero, quanto rende nel tempo e, soprattutto, quali fattori influenzano il ritorno sull’investimento in ogni singolo mercato.
Ecco come oggi analizzo e interpreto il ROAS internazionale per capire se le mie campagne funzionano davvero.
1. Il ROAS da solo non basta
All’inizio guardavo solo il classico:
ROAS = Ricavi generati ÷ Spesa pubblicitaria
Se era superiore a 3, mi sentivo tranquillo.
Ma poi ho capito che, per l’estero, serviva una lettura più strategica:
-Quanto ho speso in traduzioni/localizzazione?
-Quanto ho pagato in commissioni extra per valute, dazi, gateway?
-Qual è il margine effettivo per quel Paese?
Un ROAS di 3 in Italia può essere ottimo, ma lo stesso ROAS in UK, con margini più bassi e costi più alti, può significare andare in perdita.
2. Diversi mercati, diversi costi pubblicitari
Una campagna Facebook in Italia mi costa molto meno rispetto agli Stati Uniti o alla Germania.
La concorrenza pubblicitaria è più alta, i CPC salgono e il CAC (costo di acquisizione cliente) può raddoppiare.
Quindi per ogni Paese io analizzo:
-CPC e CPM medi
-Tasso di conversione locale
-Ordine medio per Paese
-Frequenza di acquisto
-E solo dopo calcolo un ROAS “intelligente”.
3. Il valore del cliente nel tempo (LTV)
Un cliente estero magari costa di più da acquisire, ma ha:
-Un ordine medio più alto
-Una maggiore fedeltà (in certi mercati nordici o anglosassoni)
-Una propensione a comprare su abbonamento o ricorsivamente
Quindi, io incrocio il ROAS con il Customer Lifetime Value: se la prima vendita ha un ROAS basso ma apre la porta a 3-4 acquisti futuri, può valere la pena investire lo stesso.
4. ROAS di breve vs ROAS di lungo periodo
Ho smesso di giudicare una campagna solo dopo una settimana.
Oggi mi do almeno 30-45 giorni per analizzare:
-Quanto tempo impiega il cliente a convertire?
-Dopo quanti giorni (e quante visite) arriva il primo acquisto?
-Il traffico freddo si trasforma in acquisto solo con remarketing?
Molti mercati esteri richiedono più tempo e più fiducia per convertire.
5. Tracciamento avanzato e analisi per Paese
Uso strumenti come:
-UTM personalizzati per tracciare campagne per Paese
-Google Analytics 4 con segmenti geografici
-Report ROAS multipaese su Meta e Google Ads
Così vedo dove il budget è speso bene, dove serve ottimizzare, dove sto solo “pagando traffico”.
Oggi il mio approccio al ROAS internazionale è molto più raffinato.
Non guardo solo il ritorno immediato, ma tutto l’ecosistema del cliente estero: costi nascosti, valore nel tempo, differenze culturali, ciclo d’acquisto.
Internazionalizzare vuol dire anche ripensare le metriche, con pazienza e consapevolezza. E a volte, un ROAS “basso” può essere la porta giusta per crescere.
Vuoi costruire un modello di ROAS su misura per i tuoi mercati esteri?
Scrivimi, ti aiuto a impostarlo con i dati reali del tuo e-commerce.
#ROASInternazionale #EcommerceExport #DigitalExport #VendereAllEstero #FacebookAds #GoogleAds #StrategiaEcommerce #PMIExport #MarketingInternazionale #CustomerLTV #AnalisiCampagne
Quando ho iniziato a investire in campagne digitali fuori dall’Italia, mi aspettavo che i numeri parlassero chiaro, come sempre. Invece ho scoperto che il ROAS (Return On Advertising Spend), all’estero, è tutt’altra storia rispetto al mercato nazionale.
Non basta più fare “entrate ÷ spesa pubblicitaria”. Bisogna capire quanto costa davvero acquisire un cliente estero, quanto rende nel tempo e, soprattutto, quali fattori influenzano il ritorno sull’investimento in ogni singolo mercato.
Ecco come oggi analizzo e interpreto il ROAS internazionale per capire se le mie campagne funzionano davvero.
1. Il ROAS da solo non basta
All’inizio guardavo solo il classico:
ROAS = Ricavi generati ÷ Spesa pubblicitaria
Se era superiore a 3, mi sentivo tranquillo.
Ma poi ho capito che, per l’estero, serviva una lettura più strategica:
-Quanto ho speso in traduzioni/localizzazione?
-Quanto ho pagato in commissioni extra per valute, dazi, gateway?
-Qual è il margine effettivo per quel Paese?
Un ROAS di 3 in Italia può essere ottimo, ma lo stesso ROAS in UK, con margini più bassi e costi più alti, può significare andare in perdita.
2. Diversi mercati, diversi costi pubblicitari
Una campagna Facebook in Italia mi costa molto meno rispetto agli Stati Uniti o alla Germania.
La concorrenza pubblicitaria è più alta, i CPC salgono e il CAC (costo di acquisizione cliente) può raddoppiare.
Quindi per ogni Paese io analizzo:
-CPC e CPM medi
-Tasso di conversione locale
-Ordine medio per Paese
-Frequenza di acquisto
-E solo dopo calcolo un ROAS “intelligente”.
3. Il valore del cliente nel tempo (LTV)
Un cliente estero magari costa di più da acquisire, ma ha:
-Un ordine medio più alto
-Una maggiore fedeltà (in certi mercati nordici o anglosassoni)
-Una propensione a comprare su abbonamento o ricorsivamente
Quindi, io incrocio il ROAS con il Customer Lifetime Value: se la prima vendita ha un ROAS basso ma apre la porta a 3-4 acquisti futuri, può valere la pena investire lo stesso.
4. ROAS di breve vs ROAS di lungo periodo
Ho smesso di giudicare una campagna solo dopo una settimana.
Oggi mi do almeno 30-45 giorni per analizzare:
-Quanto tempo impiega il cliente a convertire?
-Dopo quanti giorni (e quante visite) arriva il primo acquisto?
-Il traffico freddo si trasforma in acquisto solo con remarketing?
Molti mercati esteri richiedono più tempo e più fiducia per convertire.
5. Tracciamento avanzato e analisi per Paese
Uso strumenti come:
-UTM personalizzati per tracciare campagne per Paese
-Google Analytics 4 con segmenti geografici
-Report ROAS multipaese su Meta e Google Ads
Così vedo dove il budget è speso bene, dove serve ottimizzare, dove sto solo “pagando traffico”.
Oggi il mio approccio al ROAS internazionale è molto più raffinato.
Non guardo solo il ritorno immediato, ma tutto l’ecosistema del cliente estero: costi nascosti, valore nel tempo, differenze culturali, ciclo d’acquisto.
Internazionalizzare vuol dire anche ripensare le metriche, con pazienza e consapevolezza. E a volte, un ROAS “basso” può essere la porta giusta per crescere.
Vuoi costruire un modello di ROAS su misura per i tuoi mercati esteri?
Scrivimi, ti aiuto a impostarlo con i dati reali del tuo e-commerce.
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Internazionalizzazione e ROAS: come calcolare il ritorno delle campagne all’estero
Quando ho iniziato a investire in campagne digitali fuori dall’Italia, mi aspettavo che i numeri parlassero chiaro, come sempre. Invece ho scoperto che il ROAS (Return On Advertising Spend), all’estero, è tutt’altra storia rispetto al mercato nazionale.
Non basta più fare “entrate ÷ spesa pubblicitaria”. Bisogna capire quanto costa davvero acquisire un cliente estero, quanto rende nel tempo e, soprattutto, quali fattori influenzano il ritorno sull’investimento in ogni singolo mercato.
Ecco come oggi analizzo e interpreto il ROAS internazionale per capire se le mie campagne funzionano davvero.
1. Il ROAS da solo non basta
All’inizio guardavo solo il classico:
ROAS = Ricavi generati ÷ Spesa pubblicitaria
Se era superiore a 3, mi sentivo tranquillo.
Ma poi ho capito che, per l’estero, serviva una lettura più strategica:
-Quanto ho speso in traduzioni/localizzazione?
-Quanto ho pagato in commissioni extra per valute, dazi, gateway?
-Qual è il margine effettivo per quel Paese?
👉 Un ROAS di 3 in Italia può essere ottimo, ma lo stesso ROAS in UK, con margini più bassi e costi più alti, può significare andare in perdita.
2. Diversi mercati, diversi costi pubblicitari
Una campagna Facebook in Italia mi costa molto meno rispetto agli Stati Uniti o alla Germania.
La concorrenza pubblicitaria è più alta, i CPC salgono e il CAC (costo di acquisizione cliente) può raddoppiare.
Quindi per ogni Paese io analizzo:
-CPC e CPM medi
-Tasso di conversione locale
-Ordine medio per Paese
-Frequenza di acquisto
-E solo dopo calcolo un ROAS “intelligente”.
3. Il valore del cliente nel tempo (LTV)
Un cliente estero magari costa di più da acquisire, ma ha:
-Un ordine medio più alto
-Una maggiore fedeltà (in certi mercati nordici o anglosassoni)
-Una propensione a comprare su abbonamento o ricorsivamente
Quindi, io incrocio il ROAS con il Customer Lifetime Value: se la prima vendita ha un ROAS basso ma apre la porta a 3-4 acquisti futuri, può valere la pena investire lo stesso.
4. ROAS di breve vs ROAS di lungo periodo
Ho smesso di giudicare una campagna solo dopo una settimana.
Oggi mi do almeno 30-45 giorni per analizzare:
-Quanto tempo impiega il cliente a convertire?
-Dopo quanti giorni (e quante visite) arriva il primo acquisto?
-Il traffico freddo si trasforma in acquisto solo con remarketing?
Molti mercati esteri richiedono più tempo e più fiducia per convertire.
5. Tracciamento avanzato e analisi per Paese
Uso strumenti come:
-UTM personalizzati per tracciare campagne per Paese
-Google Analytics 4 con segmenti geografici
-Report ROAS multipaese su Meta e Google Ads
Così vedo dove il budget è speso bene, dove serve ottimizzare, dove sto solo “pagando traffico”.
✅Oggi il mio approccio al ROAS internazionale è molto più raffinato.
Non guardo solo il ritorno immediato, ma tutto l’ecosistema del cliente estero: costi nascosti, valore nel tempo, differenze culturali, ciclo d’acquisto.
Internazionalizzare vuol dire anche ripensare le metriche, con pazienza e consapevolezza. E a volte, un ROAS “basso” può essere la porta giusta per crescere.
✉️ Vuoi costruire un modello di ROAS su misura per i tuoi mercati esteri?
Scrivimi, ti aiuto a impostarlo con i dati reali del tuo e-commerce.
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